5 consigli per Halloween

Amo l’autunno: il caldo che se ne va, i mille colori delle foglie che appassiscono, le maglie pesanti, le tisane, le caldarroste, trascorrere le serate immersi in un libro. Soprattutto però amo l’autunno perché è l’atmosfera ideale per i racconti del terrore e le storie di fantasmi. Quale contesto migliore quindi se non l’avvicinarsi a grandi passi di Halloween, festa orrifica per eccellenza, per darvi qualche consiglio in materia? Quest’anno ho scelto tre libri, non a caso tutte raccolte di racconti, dato che per me la forma breve è perfetta per suscitare qualche brivido lungo la schiena, ma anche un film e una serie tv.
Quindi mettetevi comodi, spegnete la luce e iniziate a leggere, senza badare al temporale che imperversa fuori dalla vostra casa e a quegli strani rumori in corridoio che continuano a tenervi svegli…

ERALDO BALDINI – GOTICO RURALE

Sono sempre stato incuriosito da Eraldo Baldini e dal suo terrore associato alla campagna italiana e alle vecchie leggende contadine. Per iniziare a scoprirlo ho quindi puntato alla sua opera più conosciuta e forse miglior rappresentante di tale orrore.
Comincio subito con il dire che “Gotico rurale” è una raccolta di racconti pressoché perfetta. Ho amato l’ambientazione agreste, tra nebbie impenetrabili, sterminati campi di grano, capanne nei boschi e colline maledette, che si rivelano messaggeri di un’inquietudine tanto profonda quanto vicina a noi. I racconti di Baldini scavano a fondo nel nostro passato, portando a galla segreti e reminiscenze conturbanti, che affondano le radici in terrori ancestrali. Risvolti soprannaturali, dinanzi a cui l’uomo può soltanto piegarsi e pregare, indicibili efferatezze, vendette crudeli e misteri da custodire: Baldini in queste diciotto storie ci regala attimi di squisita paura, che ci incalzano a continuare, mai sazi, racconto dopo racconto. Grande importanza viene data ai bambini e forse proprio le vicende che vedono protagonisti i ragazzini sono quelle che lasciano addosso un maggior senso di malessere e di irrequietezza. Non manca infine anche qualche sana dose di humor nero, che però personalmente ho trovato un po’ stonato rispetto all’atmosfera che si respira nel resto dei racconti.
Gotico rurale” si è rivelata una delle migliore raccolte horror/weird che ho letto negli ultimi anni: credetemi, orrore e campagna insieme sono un mix esplosivo!

AUTORI VARI – LA BIBLIOTECA DI LOVECRAFT

La “Biblioteca di Lovecraft” è la nuova collana di Edizioni Arcoiris che si prefigge di portare in Italia classici del gotico, dell’horror e del weird, in parte inediti e in parti editi ma con nuove traduzioni.
Il primo volume prende il titolo direttamente dal nome della collana e ci propone quattro racconti di altrettanti autori elogiati dallo scrittore di Providence all’interno della sua opera saggistica. Accanto a due nomi imprescindibili nella storia della letteratura fantastica, come Ambrose Bierce e Montague Rodhes James, troviamo Edward Frederic Benson e l’accoppiata Erckmann/Chatrian, chicche da noi quasi sconosciute. Tutte le storie sono di alto livello e mescolano soprannaturale e squisite atmosfere ottocentesche, nella migliore tradizione dell’epoca d’oro delle ghost stories. L’orrore il più delle volte non si palesa direttamente ma viene evocato o suggerito, in un crescendo di inquietudine che avvolge il lettore. I fantasmi, reali o psicologici, che si aggirano tra le pagine del volume, emanano un terrore che non può prescindere dal clima e dagli ambienti che circondano i protagonisti, fonti di paura tanto quanto gli spiriti che li infestano.
Tra anziane signore vendicative, capanne nei boschi, persecuzioni e volti che ossessionano, “La biblioteca di Lovecraft” ci regala una prima raccolta davvero succulenta, curata nei minimi particolari, dalle traduzioni, fino alla bellissima grafica e alle illustrazioni interne. Un volume prezioso che inaugura una collana che, speriamo, avrà lunga vita.

AUTORI VARI – L’ORA DEGLI SPETTRI

Ricchissima antologia di storie di fantasmi, “L’ora degli spettri“, edita da Edizioni Hypnos, da sempre specializzata nella riscoperta del weird, propone al pubblico italiano ben 29 racconti, che vanno da metà Ottocento a metà Novecento, totalmente inediti al momento della pubblicazione. Pochi gli autori conosciuti, anche da chi abitualmente legge horror e gotico (esempi sono il grande Algernon Blackwood o W.W. Jacobs, da noi pluriantologizzato con il classico “La zampa di scimmia“), con grande spazio che viene lasciato a scrittori misconosciuti o i cui nomi solitamente non vengono associati alle ghost stories.
Le tematiche e le situazioni sviscerate ne “L’ora degli spettri” sono molteplici tanto che, accanto ai tipici racconti di fantasmi tanto cari al XIX secolo, in cui fanno la loro comparsa spiriti tormentati e vendicativi, che continuano ancora oggi a donare una deliziosa inquietudine, sono presenti racconti dai risvolti psicologici e meno lineari, a tratti quasi filosofici, a testimoniare come la tradizione delle storie di apparizioni soprannaturali non esaurisca il proprio fascino in stereotipi o schemi prestabiliti. Troviamo anche, a sorpresa, sprazzi di crudele ironia, a completare il quadro di un’antologia  che si rivela tutt’altro che monotematica.
Un bel compendio di racconti del terrore che farà felice chi, come me, degli spiriti proprio non può farne a meno.

JEREMY DYSON & ANDY NYMAN – GHOST STORIES

Ammetto di aver avuto qualche riserva, prima della visione di “Ghost Stories“, lungometraggio dalle tinte horror uscito nella sale italiane lo scorso anno. Ero ovviamente incuriosito ma pensavo di trovarmi di fronte al classico film dalle pieghe soprannaturali, sicuramente piacevole ma facilmente dimenticabile. Invece, per fortuna, mi sbagliavo di grosso.
Premetto subito che “Ghost Stories” non è un capolavoro di originalità ma pur nel suo “già visto” riesce a essere un ottimo film. La vicenda è incentrata su tre casi paranormali rimasti senza soluzione che vengono affidati al professore di psicologia Phillip Goodman. Le tre storie costituiscono il corpus centrale della prima parte dell’opera, rivelandosi tre buoni racconti horror ma nulla di più. Una classica pellicola del terrore come ce ne sono tante, godibile ma certo non memorabile. Ecco che però nell’ultima mezz’ora tutto cambia e quello che “Ghost Stories” sembrava essere, forse non lo è più.
Non farò spoiler perché sarebbe delittuoso ma il film della coppia Dyson/Nyman mi ha regalato uno sviluppo e un finale che ho adorato e che sono sicuro vi farà ricredere, anche a chi storcerà il naso durante la prima parte. Assolutamente perfetto per Halloween!

VEERLE BATENS & MALIN-SARAH GOZIN – TABULA RASA

Chiudiamo con “Tabula Rasa“, serie tv belga che trovate su Netflix. Prima di parlarne però, devo fare necessariamente due premesse. La prima è che “Tabula Rasa” non è una serie horror ma rientra nel filone del thriller psicologico. Tuttavia presenta elementi e atmosfere che non la farebbero sfigurare affatto come visione adatta per la notte delle streghe. La seconda è che è ingiustamente passata inosservata, fagocitata dalla miriade di serie che escono ogni mese. Vale però davvero la pena recuperarla, perché vi assicuro che “Tabula Rasa“, con i suoi innumerevoli colpi di scena, vi terrà incollati allo schermo dall’inizio alla fine.
L’idea di fondo è tanto semplice quanto intrigante: una donna, colpita da amnesia, diventa l’elemento cruciale per la risoluzione di un caso di scomparsa. Tutto giocato tra flashback che riportano a prima della perdita della memoria e il presente, in cui la donna è rinchiusa in un ospedale psichiatrico, “Tabula Rasa” regala sorprese a ripetizione, in un crescendo emozionale che trasporta lo spettatore nella mente turbata della protagonista.
Una serie tv che, pur sviluppando tematiche ed elementi a tratti non così originali, colpisce a fondo la curiosità dello spettatore, regalandoci un racconto in bilico tra crime, sfumature horror e indagine psicologica che merita di essere visto, forse più di tanti altri telefilm blasonati ma di scarsa qualità.

Mr. P.

Pablo Palacio – Un uomo ucciso a calci

Titolo: Un uomo ucciso a calci

Autore: Pablo Palacio

Editore: Edizione Arcoiris

Anno: 2018

Pagine: 96

Prezzo: € 10,00

“Si deve attendere. La vita è una paralisi dell’attesa. Guardiamo sempre dalla finestra speranzosi che arrivi il bel tempo. Aspettiamo che ci cadano addosso soluzioni dal tempo stesso. Seduti in poltrona, contempliamo il cinematografo dei fatti che ci accadono. Guardiamo verso l’alto per trovare il lucernario da cui uscire, pallidi e confusi, ed essere spettatori del nostro stupefacente dramma, se è possibile, se la vita lo permette.”

Tra i più grandi scrittori ecuadoriani del Novecento, Pablo Palacio approda anche in Italia con la raccolta di racconti “Un uomo ucciso a calci”, all’interno della collana “Gli eccentrici” di Edizioni Arcoiris, che prosegue nel suo attento lavoro di riscoperta della letteratura sudamericana. Già dall’eloquente titolo e dalla bellissima copertina, comprendiamo che i racconti di Palacio sono cinici, spietati e senza scrupoli. Leggendo però le nove storie che compongono l’opera, ritroviamo anche uno squisito senso del grottesco e della satira, che fa degli scritti dell’autore ecuadoriano qualcosa di assolutamente anomalo.

La maggior parte dei personaggi che popolano il mondo letterario di Palacio sono degli outsider, quasi dei reietti, distanti dalla realtà che li circonda e dalla razionalità che li vorrebbe degli individui comuni. L’esempio che calza a pennello è la donna bicefala di “La doppia e unica donna”, interprete di un conflitto interiore che si estende al mondo intero. Se da una parte infatti la protagonista si considera un’unica persona e non sopporta il fatto che gli altri la considerino un doppio individuo con due personalità ben distinte, dall’altra, nel suo intimo, la donna è felice di essere diversa da tutti e vede la propria maledizione rovesciarsi in un’accezione positiva. Altro personaggio riuscitissimo, è l’antropofago protagonista dell’omonimo racconto, in cui gli istinti brutali e primordiali si tramutano in un desiderio impossibile da dominare, trasformando l’uomo in un folle emarginato. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è poi un esempio feroce ed esilarante nello stesso tempo di ricostruzione di un crimine, in cui la presunta distanza dall’ordinarietà e le tensioni psichiche che attraversano la mente di un uomo, sono soltanto immaginate dal narratore, a sua volta ossessionato dal delitto perpetrato e vittima lui stesso della stessa psicologia contorta.
Palacio non si fa però mancare anche una breve incursione nel fantastico (“Stregonerie”), una scheggia letteraria a sfondo sociale (“La storiella”) e l’enigmatico e dai contorni onirici “Luce laterale”, forse il racconto che mi ha incuriosito maggiormente, proprio per il senso di indefinito e di indecifrabilità che lo permea. Una storia dalle sfumature quasi gotiche, che mi ha ricordato un Edgar Allan Poe iniettato di follia.
Purtroppo qualche altra storia mi è sembrata troppo poco sviluppata, con finali che, a mio avviso, non hanno reso piena giustizia a delle trame che avrebbero meritato maggiori respiro. Ma forse questo era proprio l’intento di Palacio: piccoli resoconti di insensatezza quotidiana, che ci allontanano ancora di più da una logica dell’esistenza.

Un uomo ucciso a calci” è una raccolta sperimentale, che genera nel lettore un misto di fascino e repulsione. Satira e violenza si mischiano per dare vita a storie originali, che aggiungono un importante tassello al mondo letterario sudamericano esportato nel nostro Paese. Chissà se in futuro riusciremo a leggere altro di Pablo Palacio: dopo questi nove racconti, la curiosità non manca.

Voto: 3,5/5

Mr. P.

Alberto Laiseca – Uccidendo nani a bastonate

Titolo: Uccidendo nani a bastonate

Autore: Alberto Laiseca

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2016

Pagine: 156

Prezzo: € 12,00

“Per essere efficace un titolo deve possedere le seguenti caratteristiche: UNO deve essere corto DUE deve avere a che vedere con l’opera TRE non deve inquietare QUATTRO deve essere intelligente ma non troppo CINQUE deve intrigare SEI deve essere ironico SETTE non deve assomigliare a nessun altro titolo OTTO non deve dar luogo a equivoci NOVE non deve essere ermetico, né contenere riferimenti scatologici.”

Tredici racconti: o forse sarebbe meglio dire tredici irresistibili deliri, tutti parte del medesimo, schizofrenico e geniale, universo narrativo. In “Uccidendo nani a bastonate”, lo scrittore argentino Alberto Laiseca inventa infatti un proprio cosmo, fatto di popoli dai nomi bizzarri e dalle abitudini ancora più strambe. Un intero mondo fantastico, che affonda però le radici ben salde nel nostro, in un mix esplosivo, che fa dell’atipicità e di una incontrollabile follia i propri punti di forza. Un tuffo a occhi chiusi nell’assurdo, ignari di cosa ci sarà ad aspettarci in queste pagine.

Il pianeta partorito dall’immaginazione di Laiseca è dominato dalla Tecnocrazia, un governo dittatoriale, che fa della guerra e dello sterminio le proprie bandiere. L’autore azzarda più di un parallelismo con l’esercito nazista, descrivendo camere a gas e campi di concentramento quali metodi primari di violenza e reclusione. Ma lo scenario non deve trarre in inganno: i racconti sono quanto di più variegato si possa immaginare e, anche quando trattano di smaltimento cadaveri o di metodi di tortura, altamente spassosi.
Numerosissimi i curiosi personaggi che popolano queste storie: scienziati, egittologi, scrittori in crisi, mariti spietati e piante magnetofoniche. Ci imbattiamo così nella feroce vendetta della mummia di Mozart (“La mummia del clavicordo”), in un incosciente esperimento all’interno di una tromba d’aria (“Viaggio nel tornado”) o nel peggior supplizio che l’uomo abbia mai inventato (“Il serpente Kundalini”). Non mancano un commissario politico che si tramuta in un farneticante dittatore (“Il delirio del delirio”) o un sovrano che costruisce palazzi per segregare le proprie consorti (“Gradinata di gioielli”). Un turbinio di situazioni eccentriche, impietose ma irresistibili nello stesso tempo, che ci conducono alla genialità del racconto che chiude la raccolta. Protagonisti di “Inventando titoli nella caverna d’inverno” sono due vivaci scrittori alla ricerca di un titolo per la propria opera: così, tra titoli assurdi, grotteschi e ingegnosi, si arriva alla rivelazione finale. Menzione a parte merita “Il cecoslovacco”, il racconto che più ho amato e che narra delle violenze psicologiche inflitte da un marito crudele a una moglie indifesa. Un piccolo e terribile gioiello narrativo.

Alberto Laiseca confeziona una raccolta difficile da catalogare, in cui il lettore non può fare altro che mollare ogni reticenza e lasciarsi trasportare dal flusso impetuoso di questi tredici racconti. Un viaggio nell’incredibile, in cui ogni cosa può accadere ma dove il fantastico e l’ironia non rimangono fini a se stessi ma guardano con occhio lucido alla diversità, alla discriminazione, al servilismo verso i poteri forti. Un autore che non conoscevo ma che mi ha favorevolmente impressionato, con un’opera che rientra di diritto tra le più originali che abbia mai letto.

Voto: 4/5

Mr. P.

Emiliano González – Penumbria

Titolo: Penumbria

Autore: Emiliano González

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2017

Pagine: 84

Prezzo: € 9,00

“Dopo qualche istante, si ha l’impressione che la realtà abbia la consistenza, il colore e la luce di un quadro: la realtà è un quadro, e noi ne facciamo parte. Poi ci si rende conto che il cielo è di una sfumatura seppia solcata da nubi che promettono tempesta (senza mai rispettare la loro promessa) e che sono appena suonate, per sempre, le cinque del pomeriggio: nell’aria aleggia ancora l’ultimo rintocco, fatto al quale ci si abitua a fatica. Quando ci si riesce, i pensieri risuonano allo stesso modo di quel lamento, sono come incantati da quel suono, e si pensano solo pensieri delle cinque del pomeriggio, e forse per questo i libri  redatti a Penumbria sono libri da leggere al tramonto.” 

Continua il progetto di crowdfunding di Edizioni Arcoiris, volto alla pubblicazione di autori sudamericani di culto, le cui opere sono ancora inedite nel nostro Paese. Come per Polleri e Chimal, anche questa volta la partecipazione dei lettori è stata grande, portando così la casa editrice salernitana alla traduzione della raccolta di racconti “Penumbria” del messicano Emiliano González.
Tra i più importanti autori e studiosi contemporanei di letteratura fantastica in America Latina, González è uno scrittore poliedrico e dalla fantasia sfrenata, autore di racconti che racchiudono al proprio interno interi universi, ispirati a mostri sacri del fantastico come Lovecraft, Machen e Borges.

Il volume si apre con il racconto maggiormente significativo dell’intera raccolta, “Rudisbroeck o gli automi“, considerato tra i capolavori di González. Una storia che è scoperta ed esplorazione della misteriosa e perturbante città di Penumbria, dove il tempo sembra essersi cristallizzato alle cinque del pomeriggio e dove il cielo ha perennemente i colori nostalgici e sepolcrali della sera che si tramuta in notte. Insieme al narratore ci imbattiamo in una miriade di personaggi bizzarri e dall’aspetto sinistro: l’ambiguo antiquario Mefisto, il folle Papá Fritz, la conturbante attrice Sonia e il saggio e mostruoso Braulio. Ma la leggenda che ammanta Penumbria è legata al costruttore di automi Rudisbroeck, trincerato nella sua torre, di cui non si scorge la fine. Un racconto alienante e deliziosamente schizofrenico, in cui González dà un’ottima prova della potenza della sua immaginazione. “L’eredità di Cthulhu” è un degno omaggio al Solitario di Providence e agli pseudobiblium, di cui il “Necronomicon” è il più famoso esemplare. L’orrore primordiale qui è concentrato nella piccola scultura di uno scarabeo che si scoprirà avere un insospettabile legame con il raccapricciante Cthulhu, creatura ideata dallo stesso Lovecraft. Un racconto affascinante, che profuma di horror vecchio stampo. “La lettura segreta” sembra quasi un bozzetto di qualcosa di più corposo, appena un accenno a una serie di libri segreti che devono essere letti nell’ordine giusto e che diventano l’ossessione del narratore. Tre pagine visionarie, che lasciano aperti nel lettore dubbi e domande. “I quattro libri di Garret Mackintosh” è la ricostruzione della vita e delle opere dello scrittore gallese Thomas Garret Mackintosh, autore mai esistito che González tratteggia con tale dovizia di particolari che al termine della lettura ci ritroviamo con la voglia di scoprire la sua produzione, incuriositi dalle sue opere enigmatiche. Colpisce la grande quantità di racconti immaginari dalle trame abbozzate, che farebbero la felicità, per originalità e fascino, di tanti autori dei giorni nostri. Chiude la raccolta “Impressioni di Bruges“, un piccolo affresco della città belga, seducente ma forse un po’ troppo sconnesso.

Penumbria” è un una tavolozza dalle mille sfumature, dove però sono i toni scuri e uggiosi a fare da padroni. Racconti che trasportano il lettore in orrori primigeni e città ammantate da aure di mistero. Una raccolta che consiglio in particolar modo a chi già mastica letteratura fantastica e volesse aggiungere una chicca alla propria collezione. Uniche pecche, un paio di racconti che paiono quasi più schizzi e che lasciano nel lettore un senso di incompiutezza, e la brevità dell’opera. Di González avremmo voglia di leggere di più: chissà che Edizioni Arcoiris in futuro ci potrà accontentare.

Voto: 3,5/5

Mr. P.

Intervista ad Alberto Chimal

Oggi abbiamo il grande piacere e onore di avere ospite sul nostro blog lo scrittore messicano Alberto Chimal, creatore di una vera e propria “letteratura dell’immaginazione”, che ha saputo racchiudere dagli anni Novanta a oggi in numerose raccolte di racconti, romanzi e saggi.
Dopo essere stato tradotto in diverse lingue, finalmente la sua opera è giunta quest’anno anche nel nostro paese, grazie a un progetto di crowdfunding organizzato da Edizioni Arcoiris, casa editrice che con la sua collana “Gli Eccentrici”, ha già portato in Italia molteplici opere letterarie di qualità di matrice sudamericana.
A febbraio è infatti stata pubblicata la raccolta di racconti “Nove”, contenente nove storie che pescano a piene mani nell’universo visionario e allucinato di Chimal. Per chi volesse approfondire la sua opera, questa è la nostra recensione.
Ma bando alle ciance e diamo la parola direttamente a questo grande autore!

Ciao Alberto e grazie davvero per esserti reso disponibile a rispondere alle nostre domande. Iniziamo subito con una domanda classica, ma fondamentale per comprendere il background letterario di uno scrittore: quali sono stati gli autori che maggiormente hanno influenzato il tuo modo di scrivere e a cui ti sei ispirato per creare le tue storie?

La maggior parte di loro sono autori che ho letto molto presto, durante l’infanzia o quand’ero adolescente. Ho avuto una curiosa serie di prime letture, perché in casa di mia madre c’era una discreta biblioteca, non tanto ordinata ma sicuramente molto eterogenea. Tra questi trovai opere di Jorge Luis Borges, Juan José Arreola, Edgar Allan Poe, Angélica Gorodischer, Philip K. Dick, Julio Cortázar, Mario Levrero, Francisco Tario, e raccolte di racconti sia antichi che moderni (che contenevano testi di Guy de Maupassant, Antón Chéjov, Ernest Hemingway, Flanery O’Connor, Yukio Mishima, Marcel Schwob, Elena Garro e altri). Al contrario di come avviene qui in Messico per gli autori più giovani, al tempo gli scrittori statunitensi non erano tra i privilegiati, lo erano piuttosto i latinoamericani o gli europei. Il primo autore italiano per cui provai una forte passione fu Italo Calvino.

La tua opera è stata descritta come “letteratura dell’immaginazione”: ti trovi d’accordo con questa definizione? Altrimenti come definiresti le tue storie?

Ho proposto io stesso questa denominazione riferendomi ad alcune opere e ad alcuni autori messicani. Non ho però voluto intenderla come “genere” o categoria, ho preferito utilizzarla per descrivere una strategia narrativa per la quale provo particolare interesse: l’utilizzo dell’immaginazione fantastica. Niente di più. L’intenzione era trovare, utilizzando un altro nome, una possibilità di lettura differente per quella che in passato si sarebbe semplicemente chiamata “letteratura fantastica”. Ai giorni nostri quest’ultima definizione è decisamente più chiusa e delimitata di quanto non lo fosse nei secoli anteriori e credo che non sia più sufficiente per descrivere la grande varietà di ciò che si sta scrivendo nel panorama latino americano e in altri paesi.

Quando hai sviluppato seriamente l’idea di diventare uno scrittore? Sentivi l’esigenza di scrivere fin da piccolo oppure è un bisogno ed una passione che sono maturati con il passare degli anni?

Non iniziai proprio subito, però sì, molto presto. Mi avvicinai al mondo degli scrittori durante l’infanzia, con le letture a casa di mia mamma; da lì il mio interesse crebbe e vinsi il mio primo premio letterario in un concorso municipale organizzato dalla mia città natale, Toluca, quando avevo 16 anni. Però, la conferma di ciò che realmente volevo fare nella vita la ebbi nel corso degli studi, quando stavo intraprendendo una carriera “di convenienza”, non artistica, per esigenze familiari. Avrei potuto assicurarmi una vita relativamente semplice, da classe media, imboccando questa via, ma non riuscii a tollerare l’idea di lasciare la scrittura, e per fortuna non lo feci.

Com’è il tuo rapporto con il racconto, una forma narrativa che noi amiamo moltissimo ma che molto spesso, purtroppo, viene ingiustamente sottovalutata?

Il racconto è la forma letteraria alla quale sono più affezionato, perché molte di quelle prime letture erano racconti. Anche quando scrivo romanzi ne affronto la stesura affidandomi a molte delle prescrizioni del racconto; non dimentico che la novella italiana medievale era un’altra cosa, un genere giustamente breve, che poi venne trasformato per graduale accumulazione.

Il tuo libro “Nove” è stato pubblicato in Italia da Edizioni Arcoiris: come è avvenuto l’incontro con la casa editrice italiana?

Fui invitato da Loris Tassi, il direttore della collana “Gli eccentrici”, che aveva visionato una mia antologia uscita in Spagna. Naturalmente sono molto contento per questa opportunità: altri editori non sono interessati ad autori che a volte si qualificano come eccentrici, invece Arcoiris ha una raccolta intitolata proprio con questo nome!

Tra i racconti che compongono la tua raccolta “Nove”, ce n’è uno a cui sei legato in modo particolare? Se sì, quale e perché?

Il primo dell’indice, “È stata smarrita una bambina”. L’ho scritto in un momento difficile della mia vita, spinto da profonde sensazioni di dubbio e frustrazione, e mi ha dato tantissime soddisfazioni. E’ un racconto, inoltre, che si fa leggere molto bene a voce alta (almeno in spagnolo), e questa è una cosa che amo molto fare.

Leggendo “Nove”, il racconto che abbiamo trovato maggiormente fuori dagli schemi è stato “Corridoi”: come ti è venuto in mente di mischiare Leonardo di Caprio, Shining e Batman?

Come si intuisce, l’elemento comune di tutto ciò che emerge nel racconto è il cinema. Di Caprio appare trasformato nel suo personaggio di “Titanic”, però non solo, perché è al contempo quello che interpretò in “Inception” di Cristopher Nolan. Allo stesso regista appartiene anche la serie Batman, dal quale ho preso in prestito la versione del personaggio di Christian Bale. Nolan è il discepolo di Stanley Kubrick, eccetera. Tutto quello che c’è nel racconto proviene da qualche film, e infatti la gran parte di quello che dice la voce narrante è una parafrasi dei testi di Alain Robbe-Grillet, che l’attore italiano Giorgio Albertazzi pronuncia nel film L’année dernière à Marienbad” (“L’anno scorso a Marienbad”) di Alain Resnais. Il titolo del racconto si riferisce precisamente ai corridoi di cui parla sempre Albertazzi in quel film allucinante. L’universo a cui appartiene questo racconto è quello dei sogni del cinema, dove i personaggi si perdono e dai quali non possono più uscire.

Siamo curiosi di conoscere i tuoi gusti letterari: ci consiglieresti alcuni autori contemporanei che ti hanno particolarmente colpito?

Tra le mie più recenti letture c’è molto di saggistica e di storia, non so dirvi perché: negli ultimi mesi ho letto libri come “Vanished Kingdoms” di Norman Davies per esempio, o “Terror und Traum” (“L’ utopia e il terrore”) di Karl Schlögel; ho letto anche “Había mucha neblina o humo o no sé qué di Cristina Rivera Garza (un testo ibrido, sperimentale, sull’opera e sulla vita di Juan Rulfo) e adesso sto leggendo “The Invention of Nature” (“L’invenzione della natura”) di Andrea Wulf. Tutto questo lo alterno con opere di narrativa: per esempio, “Jerusalem” di Alan Moore, Under the Skin” (“Sotto la pelle”di Michel Faber, “Noctuary” di Thomas Ligotti. Proprio adesso sto revisionando un’antologia di Francisco Tario che sta per uscire e che spero riuscirà finalmente a togliergli l’etichetta di “autore marginale” che ha avuto per decenni in Messico: è un grande, grande narratore e ho in sospeso “Temporada de huracanes” di Fernanda Melchor (romanziera e cronista molto apprezzata qui).

Per finire puoi svelarci qualcosa dei tuoi progetti futuri e se riusciremo a leggere nuovamente una tua opera tradotta in italiano?

Ho da poco terminato un nuovo libro di racconti, che è in attesa dell’opinione editoriale, e presto uscirà in Messico un romanzo breve per bambini, intitolato “Cartas para Lluvia”Adesso sto lavorando ad un romanzo, e sì, certamente mi piacerebbe molto vedere qualche altro mio libro tradotto in italiano. Spero che “Nove” continui ad avere fortuna.

Grazie mille Alberto! È stato un grandissimo piacere averti ospite sul nostro blog.

Grazie a voi.

Un ringraziamento particolare a Giulia Binando per la traduzione dallo spagnolo.

 Mr. P.

Alberto Chimal – Nove

Titolo: Nove

Autore: Alberto Chimal

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2017

Pagine: 182

Prezzo: € 12,00

“Negli anni successivi avevo visto come le storie del periodo del terremoto si aggiungevano alle altre: alle antiche leggende della città, piene di diavoli e fantasmi, che avevo fatto in tempo a sentire da molti anziani. Si cominciò a parlare di più, in effetti, di chi era morto sul colpo o era rimasto disperso nel caos, delle vittime di amnesia o delle persone diventate matte; i suoni emessi da chi era rimasto sepolto sotto le macerie, vivo ma irraggiungibile; l’odore dei cadaveri mai recuperati sotto i calcinacci in una scuola per infermieri, la parete che  aveva schiacciato due compagne di Celia nel Colegio de las Vizcaínas. Nulla di così distante dal fascino dei morti di oggi, dalle sparatorie, dalle notizie dei luoghi in cui il governo ormai non arriva più. Da allora abbiamo imparato a non credere ai fantasmi, o forse ad avere ancora più paura della vita reale.”

Il  messicano Alberto Chimal, con i suoi racconti visionari e allucinati, è stato il secondo autore scelto da Edizioni Arcoiris per il loro progetto di crowdfunding, volto a coinvolgere noi lettori nella traduzione e pubblicazione di scrittori sudamericani ancora inediti nel nostro Paese. Quando lo scorso anno lessi della “letteratura dell’immaginazione” creata da Chimal, in cui convivono echi di mostri sacri del calibro di Poe, Calvino, Vonnegut, Borges e Dick, non ho esitato un attimo a contribuire alla raccolta fondi, certo di aver finanziato anche questa volta delle pagine di letteratura con la “L” maiuscola.
Ciò che maggiormente stupisce delle storie di Chimal è l’intensa e variegata commistione di generi. Sfogliando infatti le pagine di questa raccolta un alone surreale e quasi stregato sembra avvolgerci, turbandoci con le trame nervose del racconto psicologico, assediandoci con le inquietudini del racconto del terrore, stupendoci con il grottesco e il weird e catapultandoci negli strani mondi dipinti dalla letteratura fantascientifica.

A conferma di ciò, aprendo il volume ci imbattiamo subito in un racconto estremamente affascinante quanto difficile da catalogare. “È stata smarrita una bambina” è quasi un canto liberatorio inneggiante all’innocenza dell’infanzia e all’incredibile potere della fantasia e della letteratura. Come può infatti una bambina messicana intrattenere una fitta e strabiliante corrispondenza con una casa editrice che risiede in Urss, molti anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica? Un quesito che accompagnerà il lettore durante la scoperta di questa stravagante e irresistibile storia. Si cambia completamente registro con “Album”, che ci narra, attraverso una serie di sinistre fotografie, lo svolgersi inevitabile di una tragedia. “Manuel e Lorenzo” è invece uno sguardo sadico e impietoso sul terribile gioco che accomuna due amici. Con “Corridoi” ci inoltriamo in un nonsense squisito e intrigante. Protagonista è Leonardo Di Caprio che, sfuggito all’affondamento del Titanic, si ritrova in un labirinto che sembra uscito direttamente da “Inception”. E se ciò non bastasse a stimolare la vostra immaginazione, Chimal ha pensato bene di inserire anche Batman e Danny Torrance di Shining. Un racconto che definire bizzarro e geniale è riduttivo. “La donna che cammina all’indietro” si avvicina alle atmosfere delle classiche ghost stories, con un’apparizione che cambierà per sempre le vite dei protagonisti. Veniamo poi scaraventati, senza cintura di sicurezza, negli affreschi futuristici di “Venti robot”, venti racconti all’interno del racconto, che hanno come unico comune denominatore gli esseri composti da microchip e bulloni che da sempre hanno attratto la mente umana. “La vita eterna” parte in sordina come un racconto dai toni fiabeschi, per poi sfociare nel satirico e nel tragicomico. Basti accennare che il vero protagonista è un mostro marino che inghiotte esseri umani per collezionarli all’interno del proprio ventre. Il penultimo racconto, “Mogo”, è un agghiacciante incubo che infesterà la placida esistenza di un bambino. Beto scopre infatti con entusiasmo e un pizzico di turbamento di essere in grado di scomparire ogni volta che chiude gli occhi. Questo sorprendente potere lo metterà però di fronte ad un temibile orrore senza volto. La raccolta si conclude con “Shanté”, una storia che non avrebbe sfigurato come sceneggiatura di un episodio della serie tv cult “Black Mirror”. Una terribile visione distopica del mondo che mi ha trasmesso, durante la lettura, un’angoscia sottile e penetrante. Qual è la vera natura dello strano aggeggio che si è tramutato in dipendenza ed ossessione per una giovane donna di nome di Elena? Chimal ci conduce per mano attraverso questo inquietante racconto, mostrandoci spiragli di una verità che si rivela ben più allarmante di quanto possiamo immaginare.

Una fantasia sconfinata e un gusto raffinato che pesca a piene mani nel meglio della letteratura fantastica del secolo scorso facendola propria, pur mantenendo una personalità originale e distintiva, sono i tratti salienti che caratterizzano la narrativa di Chimal. Nove porte spalancate sull’assurdo e sull’irrazionale, in cui chiudere gli occhi e gettarsi a capofitto in un folle volo pindarico, non sapendo mai cosa ci sia ad attenderci dall’altra parte, ma con la certezza che qualunque cosa sia, saprà stupirci ed emozionarci.

Voto: 4/5

Mr. P.

Felipe Polleri – Germania, Germania!

Titolo: Germania, Germania!

Autore: Felipe Polleri

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2016

Pagine: 212

Prezzo: € 14,00

“Uno scrittore è un uccello invisibile che vola di casa in casa per studiare (e annotare) l’infinite perversità degli esseri umani, o dei loro doppi o impostori o replicanti o androidi. Per questo tutti ci odiano. Ci perseguitano. Ci picchiano. Ci rinchiudono.”

Quando nell’autunno del 2015 mi fu segnalato il primo progetto di crowdfunding di Edizioni Arcoiris, scelsi con entusiasmo di partecipare e sostenere così nel mio piccolo l’editoria indipendente e la diffusione della letteratura sudamericana nel nostro Paese. Lo scrittore che la casa editrice di Salerno aveva deciso di proporre ai suoi lettori era, l’allora inedito in Italia, autore uruguiano Felipe Polleri, con uno dei suoi romanzi maggiormente rappresentativi. A partire dal curioso titolo, “Germania, Germania!”, avevo capito di trovarmi di fronte a qualcosa di unico nel panorama letterario moderno, un’opera che avrebbe lasciato il segno. Quando poco più di un anno dopo stringevo finalmente tra le mani il volume, avevo capito di non essermi sbagliato. “Germania, Germania!” è un viaggio allucinato e perverso, una cavalcata nell’inconscio dell’uomo, in grado di spaventare e di offrire spunti di riflessione, avvolgendoci in un’atmosfera torbida e visionaria. Il libro di Polleri è tra gli scritti più inquietanti che mi sia mai capitato di leggere. Un autentico vortice di decadenza e angoscia, che risucchia il lettore fin dalla prima riga, facendolo riemergere a tratti per una boccata d’aria, prima di avvilupparlo nuovamente tra le sue spire. Un vortice che non manca di esercitare il suo fascino oscuro e a cui non ci si può sottrarre.

Definire “Germania, Germania!” un semplice romanzo non rende giustizia alla particolarissima costruzione narrativa e alla genuina originalità che Polleri ha saputo infondere alla sua opera. Forse la definizione che meglio calza può essere il flusso di coscienza, ma anche così pare riduttivo. La narrazione è suddivisa in tre momenti distinti, ognuno dei quali è affidato ad una diversa voce narrante (ma siamo poi così sicuri che siano tre persone distinte?): Christoper, Parsifal e Antoine. Le vicende sono ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale e proprio il nazismo e i campi di sterminio rivestono un ruolo fondamentale. «Sono morto. Sono morto quattordici anni fa.». Bastano le poche parole dell’incipit per rendersi perfettamente conto di essere davanti a un’opera che di banale e stereotipato non ha assolutamente nulla. Così decidiamo di abbandonarci completamente ai tortuosi percorsi mentali dello scrittore Christopher Marlowe, tra  un fratello ermafrodita, un assassino denominato il “Fantasma di Marte” e Sherlock Holmes. Tocca poi a Parsifal, che si diverte a costruire burattini e a mettere in scena ambigue commedie e vive circondato da doppi e da nazisti. È infine è la volta di Antoine, autore del “Grande saggio sul funzionamento della macchina“, a cui hanno asportato l’euforia di vivere. Proprio in questa terza e ultima parte Polleri si lancia in una carrellata di macchine agghiaccianti, come la macchina dell’insonnia, la macchina dell’attesa o la macchina del pianto, il tutto corredato da immagini a dir poco inquietanti. Macchine (mentali o reali?) costruite per disgregare la personalità dell’uomo, annullarlo e renderlo innocuo. Ma nella scrittura di Polleri niente è mai ciò che sembra e ogni personaggio o situazione si diverte a travestirsi da metafora: bisogna scavare a fondo per trovare un’interpretazione e forse è proprio questa continua ricerca e la miriade di possibilità che ci vengono mostrate, a rendere “Germania, Germania!” così intrigante. Una cosa è chiara: lo scritto di Polleri è un’accusa, feroce e provocatoria, contro i poteri forti, contro chi vuole ridurre gli uomini a burattini senza volontà, contenitori vuoti nello spirito e nel corpo. A ciò si contrappone la creatività e la fantasia (malata) dei tre protagonisti, che preferiscono rifugiarsi nella propria mente, creando mondi e sovrapponendoli al nostro, piuttosto che vivere nello squallore della realtà che li circonda.

Germania, Germania!” è pura anarchia letteraria, che è in grado di donare, a chi non si spaventa nel trovarsi di fronte ad un libro non canonico, emozioni intense e brutali, giocando sull’esagerazione e la provocazione. Un’esperienza di lettura che consiglio vivamente a chi abbia voglia di uscire dagli schemi, addentrandosi in un universo assurdo e grottesco, in cui però niente viene lasciato al caso. Credetemi se ve lo dico: “Germania, Germania!” non vi lascerà indifferenti.

Voto: 4/5

Mr. P.

Horacio Quiroga – L’aldilà

Titolo: L’aldilà

Autore: Horacio Quiroga

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2016

Pagine: 172

Prezzo: € 12,00

“Costretto a terra, ho l’assoluta e chiara consapevolezza che, fra non molto, cesserò di vivere. Mai si è presentata alla mia mente una verità più incontrovertibile di questa. Tutte le restanti certezze ora fluttuano, danzano, come una specie di lontanissimo riverbero di un altro me stesso, in un passato che nemmeno mi appartiene. Se so di essere vivo è solo grazie alla consapevolezza, fulminea e dolorosa come un colpo inferto all’improvviso, che presto sarò morto.”

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Devo ammettere la mia colpa: pur provando un amore viscerale verso la narrativa breve, non avevo fino ad ora ancora approfondito la conoscenza di uno dei più grandi autori di racconti della cultura ispanoamericana, ossia Horacio Quiroga. La possibilità di colmare questa grande lacuna me l’ha concessa Edizioni Arcoiris che ha pubblicato, nella collana di narrativa latinoamericana “Gli Eccentrici”, “L’aldilà”, l’ultima raccolta di racconti scritta dall’autore, due anni prima di morire suicida. “L’aldilà” è impregnato in ogni sua pagina dall’idea della morte, che si intreccia in modo indissolubile all’amore, sia esso il sentimento appassionato di due amanti o l’amore puro e incondizionato di un padre verso il proprio figlio, approdando poi su lidi inquietanti intrisi di follia e disperazione.

Il volume si apre con il racconto che dà il titolo all’opera: “L’aldilà” narra, con tenerezza e struggente malinconia, di come il sentimento d’amore puro di due amanti morti suicidi possa sopravvivere alla morte stessa, avvolgendo le due anime in modo inscindibile, fino a farle svanire. Con “Il vampiro” rientriamo nei binari del classico racconto gotico di stampo britannico, ma arricchito e modernizzato da uno strano esperimento in ambito cinematografico, che prende il via dalla confessione allucinata del protagonista dal letto di un ospedale. Capiamo fin da subito come la donna rivesta un ruolo fondamentale all’interno dei racconti di Quiroga, qui rappresentata da una figura diafana e spettrale, che porterà a conseguenze terrificanti. “Le mosche (replica de L’uomo morto)” è un piccolo capolavoro che ci fa immergere nei tenebrosi e visionari pensieri di un uomo in punto di morte. Con “Il conducente del rapido” Quiroga ci proietta in un viaggio paranoico e delirante nei meandri della follia umana, accompagnando il conducente di una linea ferroviaria dalle prime avvisaglie di malessere fino allo sfociare irruento e fatale di un autentico squilibrio mentale. Ne “La chiamata” troviamo le atmosfere claustrofobiche e sottilmente inquietanti delle migliori ghost stories: si narra infatti dell’amore profondo e disperato di un padre verso la propria figlia, sentimento che sopravvive anche dopo la morte del genitore, trasportando il lettore verso un finale angosciante ed oscuro. Sempre l’amore di un padre verso il figlio fa da collante con il successivo racconto, “Il figlio”, basato però su di un impulso puro e devoto, che fa da contraltare ad una nuova analisi della pazzia insita nella mente umana. Con “La signorina leonessa”, Quiroga abbandona momentaneamente le atmosfere oniriche e tetre dei racconti precedenti, per narrare una sorta di fiaba per adulti, in cui una leonessa viene accolta ed allevata tra gli essere umani, dimenticando però la natura selvaggia e libera che da sempre caratterizza gli animali selvatici. “Il puritano” ci immerge nuovamente nella dimensione cinematografica, dandoci il privilegio di assistere agli incontri clandestini delle defunte star del cinema, in cui si discute di una affascinante quanto tragica storia d’amore. “In assenza” narra invece le vicissitudini di un uomo che ha perso completamente la memoria degli ultimi sei anni della propria vita e che tenta di ricostruire, pezzo dopo pezzo, un puzzle ambiguo e misterioso. Negli ultimi due racconti Quiroga congeda definitivamente il fantastico e l’irreale, per narrare dapprima la singolare e bizzarra corrispondenza tra un uomo e una donna (“La bella e la bestia”), per poi concludere con l’affresco di un seduttore che vede rivivere di fronte a sé uno spiacevole episodio della sua gioventù (“Il tramonto”).

L’adilà” è una raccolta affascinante, dalle mille sfaccettature, in cui convivono sogni e incubi, il soprannaturale e la vita ordinaria, la beatitudine dell’amore e l’angoscia della morte. Quiroga sa dare vita in poche pagine a personaggi difficili da dimenticare, esplorandone con minuzia la psicologia e i recessi delle loro coscienze. Tenui pennellate dalle tinte sfumate piene di dolcezza si tramutano in violenti getti dai colori aspri e violenti, trasportando il lettore in una montagna russa di emozioni e sensazioni, tra allucinazioni e deliri. Undici racconti che non possono mancare nella libreria di chi ama le short stories, ma anche di chi cerca un punto di partenza per inoltrarsi nel mondo della narrativa breve.

Voto: 4/5

Mr. P.

Roberto Arlt – Saverio, il Crudele / L’isola deserta

Titolo: Saverio, il Crudele / L’isola deserta

Autore: Roberto Arlt

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2016

Pagine: 120

Prezzo: € 11,00

“Tutti voi marcirete come topi schifosi in mezzo a tutti questi libri. Un giorno vi ritroverete con il sacerdote venuto a somministrarvi l’estrema unzione. E mentre vi ungeranno d’olio la pianta dei piedi, vi direte: «Cosa ho fatto della mia vita? L’ho consacrata alla contabilità». Bestie.”

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Ogni volta è la stessa storia. Se devo scegliere un libro, non so esattamente per quale motivo, mi oriento quasi sempre sulla letteratura che conosco meglio: un classico francese, un contemporaneo inglese, qualcosa d’italiano, o di statunitense. Mi sono più familiari, in qualche modo. Solo ultimamente ho imparato ad aprirmi anche ad altre culture, a cercare di esplorare generi diversi e terre lontane. Sono così giunta a Roberto Arlt, autore argentino vissuto nella prima metà del Novecento. I miei dubbi (mi piacerà poi davvero? non narrerà forse di cose troppo distanti da quelle a cui sono abituata?) sono stati dissipati immediatamente. Ho terminato la mia lettura con gli occhi sgranati e la bocca semi spalancata, e non sto esagerando. Arlt mi ha dato qualcosa, uno stupore particolare, una consapevolezza maggiore. Non posso fare a meno di ringraziare Edizioni Arcoiris, e in particolare la collana ‘Gli Eccentrici‘, per aver portato in Italia questi due, meravigliosi, testi.

“Saverio, il Crudele” è la prima opera teatrale davanti cui ci si ritrova aprendo il libro. Fin dall’inizio è possibile individuare quello che è uno dei temi principali della pièce, ovvero l’inganno. Susana ed un gruppo di suoi amici e familiari hanno deciso di approfittarsi della probabile ingenuità di un uomo di nome Saverio, di mestiere fornitore di burro, inscenando uno scherzo alle sue spalle. Con un tranello (la proposta di un affare) lo attirano a casa loro; qui, Pedro, Luisa e Juan gli comunicano che Susana, purtroppo, non può riceverlo in quanto è improvvisamente impazzita. La ragazza, infatti, pensa di essere una regina, il cui trono è stato rubato da un crudele Colonnello. L’unico modo per guarirla – gli riferiscono, disperati – è stare al suo gioco ed inscenare quello in cui crede: ghigliottinando il perfido militare e recuperando il suo regno, infatti, probabilmente la giovane donna tornerà normale. E’ necessario dunque che qualcuno, in questa farsa terapeutica, interpreti il ruolo del Colonnello: ed è esattamente a questo che serve la presenza di Saverio, il quale accetterà, un po’ titubante. Tutti sono d’accordo, numerose sono le persone coinvolte in questa burla, tranne la sorella della protagonista, che si oppone, indignata, alla pubblica derisione di un estraneo. Ma, come afferma Juan, «Il bello sta proprio lì, Julia. Che interesse ci sarebbe nella farsa se uno dei partecipanti non ignorasse il segreto? Il segreto, in un certo senso, è la buccia di banana che il passante distratto calpesta camminando». A poco a poco, però, cominciamo a capire qual è il vero scopo di Arlt: non offrirci uno spettacolino grottesco, comico per i più goliardi e penoso per i più sensibili. Lo scrittore vuole invece ribaltare le carte in tavola, mettere in luce il fatto che anche il più mite degli uomini, se posto nelle giuste condizioni, può rivelarsi uno spietato boia. Così, quindi, Saverio comincia ad immedesimarsi fin troppo bene nel ruolo che gli è stato affidato, prendendo alla lettera una frase dei Vangeli, che scrive “Siate astuti come serpenti e candidi come colombe”. Alla festa organizzata a casa di Susana, occasione in cui la donna dovrebbe riprendersi l’ipotetico trono, Saverio fa il suo ingresso trionfale e di lì a poco gli eventi precipiteranno. I lettori rimarranno sconvolti da una serie di colpi di scena, e, terminata l’opera, non potranno che domandarsi quale sia il prezzo da pagare per quello che sembrava un innocente scherzo e che invece sotto nascondeva molto di più.

Come se non bastasse il turbamento d’animo provocato dalla prima pièce, Roberto Arlt, con il suo secondo lavoro qui raccolto, ci da il colpo di grazia. “L’isola deserta” è una storia breve, non molto complessa, ma letale. I personaggi principali sono un gruppo di impiegati, per lo più senza nome, che lavorano con impegno in un ufficio al decimo piano di un palazzo. Nonostante la loro continua forza di volontà, però, non rendono quanto dovrebbero ed il Capo, figura minacciosa e razionale, li rimprovera dei numerosi errori commessi. Tutto d’un tratto uno di essi, Manuel, confessa al superiore di non riuscire più a lavorare: l’ufficio ha infatti una finestra immensa che si affaccia sul porto e questo continuo andare e venire di navi distrae lui ed i suoi colleghi, li rende pensierosi e malinconici, gli impedisce di concentrarsi assiduamente nelle loro mansioni. A partire da questa lamentela, dunque, ha inizio una conversazione tra i vari dipendenti, che si accentua maggiormente con l’arrivo del fattorino mulatto Cipriano: quest’ultimo, infatti, comincia a narrare le numerose avventure a cui ha preso parte lavorando sulle navi. L’orientalismo introdotto da questo personaggio fa sì che emerga il desiderio di esplorare, viaggiare e liberarsi da un lavoro ripetitivo e monotono. Manuel, María e gli altri rimangono incantati dai racconti di Cipriano e sognano una vita altrove, su un’isola deserta, un’esistenza diversa, e non sanno che, in un certo senso, quest’ultima starà proprio per cambiare.

Dal poco che sono riuscita a carpire su di lui, per Roberto Arlt scrivere era vitale: egli desiderava con tutto se stesso ricercare la verità e la felicità (due cose che molto spesso non coincidono), e gettare nero su bianco era un modo per farlo. In queste due opere c’è tutto: il metateatro, la finzione, la fiaba, la follia, il grottesco, l’assurdo, l’evasione, l’infelicità, l’abitudine, il coraggio. Inutile dire che questo scrittore mi ha incuriosita veramente molto, mi ha lasciato sensazioni fortissime e soprattutto la voglia di scoprirlo ancora, di entrare nuovamente nel suo universo. Consigliatissimo!

Voto: 4.5/5

Mrs. C.

Carlos Dámaso Martínez – Serial

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Autore: Carlos Dámaso Martínez

Editore: Edizioni Arcoiris

Anno: 2016

Pagine: 92

Prezzo: € 10,00

“«Ho il presentimento che la vicenda non sia finita qui.» disse poi.
«Forse» ribatté Ángel. «Io do per scontato che nessuna serie si chiude come un cerchio qualsiasi».”

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Lo ammetto: pur essendo un amante degli intriganti misteri della letteratura gialla e dei brividi e della suspense che infonde al lettore un thriller ben congegnato, non mi ero ancora avvicinato ad un vero e proprio romanzo poliziesco e dalle autentiche tinte noir, ancor meno ambientato in Sud America. Ci ha pensato Edizioni Arcoiris a fornirmi l’occasione ideale per approcciarmi al genere, proponendo nella loro collana Gli Eccentrici il breve romanzo “Serial” dell’argentino Carlos Dámaso Martínez.

Un’Argentina corrotta e inquietante fa da sfondo perfetto alla turpe vicenda dipinta da Dámaso Martínez, che ci catapulta immediatamente e senza tanti fronzoli nel cuore della narrazione, lasciandoci storditi e irrequieti. Una serie di morti stanno lentamente lasciando sotto shock l’intera società argentina. Cadaveri che appartengono a individui in apparenza senza alcun legame tra di loro ma che, scavando a fondo, sembrano essere strettamente avvolti da un filo tanto sottile quanto letale. I media e l’opinione pubblica li hanno catalogati come suicidi, ma chi ha il coraggio e la ferma volontà di squarciare il velo e guardare con decisione cosa c’è al di sotto, non può ignorare gli indizi che portano ad una più oscura ed allarmante verità. Il lettore viene guidato, attraverso la torbida nebbia che circonda il mistero, da due personaggi tanto singolari quanto diametralmente opposti l’uno all’altro. Montes è uno degli uomini di punta della malavita argentina, costantemente con il dito sul grilletto e i sensi tesi a percepire il pericolo. Proprio lui ci accompagnerà all’interno della corruzione e dell’inquinamento morale delle istituzioni argentine, tra regolamenti di conti e lavoretti sporchi per eliminare scomodi testimoni. Quello di Montes è uno sguardo lucido e spietato, consapevole di ogni propria azione, che non cerca redenzione ma punta soltanto alla propria sopravvivenza. Secondo protagonista è il giornalista televisivo Ribba, testardo e diffidente, il cui unico scopo è la ricerca della verità, anche se quest’ultima potrebbe rivelarsi particolarmente scomoda. Ed è proprio lui il primo agguerrito sostenitore sulla falsità dell’ipotesi dei suicidi, che considera una messinscena architettata ad arte per coprire qualcosa che deve rimanere accuratamente sepolto. Grazie all’aiuto di Ángel, un amico informatore, e alle mail inviate da un fantomatico ammiratore informato sui fatti, Ribba riuscirà a dare un senso alla misteriosa catena di morti. Parallelamente Montes scoprirà che la sua vita è in pericolo e che al centro degli inspiegabili suicidi potrebbe esserci proprio lui.

Con una narrazione diretta ed efficace, Dámaso Martínez ci regala una storia che non lascia un attimo di respiro, caratterizzata da un ritmo serrato e senza pause. Ad ogni pagina che voltiamo, pare quasi che acque torbide e gelate invadano la nostra mente, lasciandoci spaesati e tremanti. Un’oscurità inquietante e piacevole allo stesso tempo, che ci insinua più di un dubbio, per poi svelarli in modo lento e ambiguo. Un romanzo breve ma denso, che può essere perfetto per addentrarsi nei meandri del genere poliziesco, proprio come è capitato a me.

Voto: 3,5/5

Mr. P.