Tomás Downey – Il posto dove muoiono gli uccelli

Titolo: Il posto dove muoiono gli uccelli

Autore: Tomás Downey

Editore: Gran Vía

Anno: 2019

Pagine: 114

Prezzo: € 13,00

“Le braci sono rosse ormai. Alonso le separa e prende la griglia, sistema le salsicce. Con gli occhi chiusi sente il grasso che crepita sul ferro caldo, l’odore che galleggia nell’aria, i chilometri di campagna che lo circondano, la terra dove le piante crescono e si seccano e crescono di nuovo, gli animali che nascono, muoiono e si decompongono; e lui è una parte infima di tutto quello che gira intorno al sole; e perché, qualcuno glielo spieghi, perché resistere a quell’inerzia se a lui basta guardare il cielo per sapere che quel movimento a spirale, senza fretta, senza posa, un giorno collasserà sul proprio centro; e tutto sarà parte di una stessa nuvola di polvere e gas; e perché Alonso, perché Maria, perché tutti gli orologi del mondo, tutti i cavalli morti, tutti gli ettari di terra secca.”

Mi è bastato il titolo, perturbante ed evocativo, per capire che avrei dovuto leggere assolutamente “Il posto dove muoiono gli uccelli”, seconda raccolta di racconti dell’argentino Tomás Downey. E il mio sesto senso di lettore è stato riccamente ripagato da un’antologia sorprendente, sempre in equilibrio precario tra il concreto e il surreale, tra il nostalgico e il distopico, in un turbine incontrollato di ossessioni, crisi d’identità e brame ardenti e inimmaginabili. Un punto di vista sulle relazioni umane, vero fulcro dell’opera di Downey, tanto inaspettato quanto tormentoso.

I dieci racconti che compongono la raccolta pescano a piene mani nella quotidianità di ognuno di noi, nelle nostre più recondite paure e inconfessabili speranze, dando sguardi fugaci nella vera natura dell’animo umano. Sguardi che portano a galla una profonda disillusione verso un’esistenza pregna di crudeltà e sconforto, in cui ogni via di fuga si rivela un inganno. Non manca però, in mezzo a tanta desolazione, una flebile speranza che qualcosa possa cambiare, portando una luce lieve e intermittente in tanto buio.
Tra i protagonisti delle storie di Downey, un posto d’onore se lo ritagliano i bambini e gli adolescenti, come le tre sorelle del racconto d’apertura. Una manciata di pagine disturbanti, che si ficcano a forza nella mente del lettore, in cui comprendiamo che a volte, per scacciare il male dalle proprie vite, occorre compiere delle azioni moralmente scorrette. Una storia ambigua e contraddittoria, che ci fa capire immediatamente di che pasta sono fatti gli scritti dell’autore argentino. Due sorelle sono anche i personaggi principali del racconto che dà il titolo alla raccolta, che si rivela un’autentica perla crudele, con un finale tra i più agghiaccianti che mi sia mai capitato di leggere. Una narrazione dove la malignità si nasconde nelle profondità degli animi più insospettabili.
Non mancano episodi in cui Downey ribalta il piano della realtà, addentrandosi in atmosfere oniriche e squisitamente weird. È il caso di “La pelle sensibile”, moderna ghost story, in cui l’amore può tramutarsi in un’estenuante forma di persecuzione o “I Täkis”, che ha il sapore di una favola dark e disperata. Menzione a parte poi merita “Zoo”, l’unica incursione dell’autore nella distopia, dove le differenze sociali, culturali e umane vengono portate all’estremo e convogliate nella rappresentazione atroce di uno zoo dove la pietà è un sentimento ormai dimenticato, in un futuro imprecisato che non sembra però troppo distante dal nostro presente. Particolarmente toccante è poi “Gli uomini vanno in guerra”, piccolo capolavoro sulla circolarità del tempo e del dolore che, come in un loop maledetto, continua ad affiorare, ancora e ancora.

Tomás Downey ci regala un’opera ammaliante e sconvolgente, che prende il lettore per mano e lo stringe a sé, tra inquietudini e paranoie, malinconie e brutalità. Una raccolta di racconti che tratta una tematica scomoda come i rapporti umani in maniera del tutto inedita e originale e, proprio per questo, tra i migliori libri che mi sia capitato di leggere quest’anno.

Voto: 4,5/5

Mr. P.

Autori vari – Calles: tredici racconti dalla Bolivia

Titolo: Calles. Tredici racconti dalla Bolivia

Autori: AA. VV.

Editore: Gran Vía

Anno: 2018

Pagine: 203

Prezzo: € 15,00

“Quando Álvaro aveva annunciato la sua partenza, Vanessa inizialmente aveva provato tristezza, presto convertita in quella specie di strano piacere che genera la profezia autocompiaciuta; come quando camminiamo nella penombra sapendo che va tutto bene, ma è inevitabile pensare che da qualche parte possa esserci nascosto qualcuno, o che in quel momento, proprio quello, tra tutti i momenti di cui è fatta la vita, avverrà il primo contatto con un’anima in pena o con il diavolo. Siamo convinti di vedere qualcosa e che quello sia l’attimo più emozionante della nostra esistenza. Terrore e piacere simultanei. Finché non si accende la luce e constatiamo che se qualcosa c’è, è stato lì da sempre.”

Mi sono avvicinato alla letteratura sudamericana soltanto negli ultimi anni, ma quando penso ai romanzi e ai racconti che scaturiscono dalle penne di autori latini, subito mi saltano alla mente paesi come l’Argentina o il Cile, quest’ultimo in particolare rappresentato da Roberto Bolaño. Per fortuna, a sdoganare la letteratura (da noi) misconosciuta di alcuni paesi dell’America del Sud, ci sta pensando Gran Vía, attraverso la pubblicazione di una serie di antologie, ciascuna dedicata a una specifica nazione. Dopo Messico, Cuba e Cile, è la volta della Bolivia, la cui scena letteraria è ancora un territorio inesplorato per i lettori italiani. La raccolta che ci propone Gran Vía comprende tredici racconti di altrettanti autori, in un caleidoscopio emozionale che avvince e stupisce.

Calles” presenta una nuova generazione di scrittori boliviani, tutti nati dopo il 1970, a eccezione di Edmundo Paz Soldán, nato nel 1967 e che probabilmente ha dato il via alle nuove voci qui raccolte. Uno scenario florido e variegato, che tratta temi universali, adattandoli alla geografia urbana boliviana, in modo diretto e senza compromessi.
Così la violenza, sia essa premeditata che totalmente casuale, e per questo forse anche più spaventosa, ci viene sbattuta in faccia senza tanti preamboli. È ad esempio il caso di Marcelo, il giovane protagonista di “Tutti realizzano i propri sogni tranne me” di Wilmer Urrelo Zárate, uno dei racconti maggiormente sperimentali dell’intera raccolta, che da carnefice diventa vittima designata, in una escalation di brutalità che lascia turbati o la repentina e accidentale esplosione di aggressività de “La giapponese” di Saúl Montaño, che lascia il lettore assolutamente disorientato. La violenza però può anche essere solo lasciata intuire, come nel soffocante “Nel bosco” di Giovanna Rivero, che insinua sotto pelle supposizioni dai contorni angoscianti, o portare alla disgregazione e alla rottura dei fragili equilibri interni che regolano la famiglia. Proprio i delicati legami famigliari e le loro incrinature, sono al centro della gran parte dei racconti raccolti in “Calles”. “Foto di famiglia” di Liliana Colanzi e “La casa grande” di Rodrigo Hasbún sono esempi perfetti di drammi famigliari racchiusi in una manciata di pagine, in cui la malattia e la vecchiaia aleggiano sui personaggi come terribili spauracchi o segreti che non devono essere rilevati. A volte però la sicurezza confortevole del nucleo famigliare può essersi dissolta nel nulla, come accade alla solitaria protagonista di “Afferrare” di Natalia Chávez Gomes Da Silva, che imparerà sulla propria pelle a ricostruire da zero una nuova esistenza. In altre, invece, tale sicurezza non è mai esistita: basti pensare alla narratrice di “Deforme” di Fabiola Morales, che fin dall’adolescenza sostituisce le figure assenti dei genitori con la fotografa Dorothea Lange e la pittrice Frida Kahlo.
Menzione a parte meritano “Gringo” di Maximiliano Barrientos e “Dochera” del già citato Edmundo Paz Soldán. Il primo è un incubo del passato che torna a bussare prepotentemente nelle vite tranquille del narratore e della sua famiglia: un piccolo capolavoro onirico e allucinato, forse il mio preferito dell’intera antologia. Il secondo è la deliziosa analisi della psiche di un cruciverbista che si scopre innamorato, tra squarci di tenerezza e incantevole follia.

Calles” è una raccolta piena di sorprese, che mostra le mille piccole sfaccettature della quotidianità. La lettura di queste tredici storie incuriosisce e ci immerge in un panorama letterario che pare abbia davvero parecchio da dire. Un primo passo alla scoperta della Bolivia, sperando che il futuro ci riservi la traduzione di altre opere di questi validi autori.

Voto: 4,5/5

Mr. P.

Nona Fernández – La dimensione oscura

Titolo: La dimensione oscura

Autore: Nona Fernández

Editore: Gran Vía

Anno: 2018

Pagine: 213

Prezzo: € 16,00

“Apriamo di nuovo questa porta. Al di là troveremo un’altra dimensione. Un mondo da sempre nascosto dal vecchio trucco che vi fa volgere lo sguardo altrove. Un territorio ampio e oscuro che sembra lontano, ma che si trova vicino come l’immagine che lo specchio ci restituisce ogni giorno. State passando dall’altra parte del vetro, direbbe l’intensa voce fuori campo della mia serie preferita. State entrando in una dimensione ai confini della realtà.”

Poche volte mi è capitato di rimanere così spiazzato davanti a un libro. Quando mi sono ritrovato tra le mani “La dimensione oscura” davvero non avevo idea a cosa sarei andato incontro. Romanzo? Saggio? Memoir? L’opera di Nona Fernández è nello stesso tempo tutto questo e nulla di quello che ho elencato. La somma delle parti ha creato qualcosa di unico e straordinario. Un atroce spaccato della storia del Cile ma anche un distillato amaro della vita dell’autrice, tra ricostruzioni autentiche e viaggi nella coscienza. Un libro che genera dolore, anche a chi come me abita a migliaia di chilometri di distanza e nel 1984 era appena nato, e che trascina il lettore in una dimensione alternativa, in cui pallide lame di luce tentano di dare un senso a un buio che attanaglia il cuore.

Protagonista della storia narrata dalla Fernández  è il Cile martoriato di Augusto Pinochet degli anni ’70 e ’80, in cui gli oppositori e i detrattori del regime si trasformavano in desaparecidos, tra brutali torture, uccisioni e rapimenti. In mezzo a questo vortice di orrore spunta una data che, nel bene e nel male, contribuirà a cambiare la storia cilena: il 27 agosto 1984. La mattina di quel giorno, uguale a centinaia di altre mattine trascorse in balia della dittatura di Pinochet, Andrés Antonio Valenzuela Morales, che la Fernández  chiama “l’uomo delle torture”, si reca negli uffici di “Cauce“, rivista dell’opposizione. Quell’uomo ha soltanto una volontà: parlare, confessando i terribili crimini commessi contro i desaparecidos. Vuole svuotarsi la coscienza, vomitare tutto il proprio disgusto per la sua vita scellerata, che pesa come un macigno sulla sua anima ormai marcita. Un’ammissione che culminerà in un articolo in prima pagina, con una copertina in cui campeggia la foto dell'”uomo delle torture” e la gigantesca scritta “Io aguzzino“. Proprio grazie a quell’articolo l’autrice conoscerà “l’uomo delle torture”, che si tramuterà in una costante all’interno della sua vita, riapparendo più volte a distanza di anni, fino a quando la Fernández immagina di spedirgli una lettera per comunicargli che intende scrivere un libro su di lui. Lui che sciaguratamente rappresenta in modo magistrale “la dimensione oscura”, sorta di limbo parallelo alla realtà, cupo universo fatto di violenza, morte e scomparse. A questo proposito, particolarmente azzeccato e originale diventa il paragone che l’autrice elabora tra la dimensione oscura della dittatura cilena e la serie tv cult degli anni ’60 “Ai confini della realtà“, spettacolo televisivo che riempiva i pomeriggi adolescenziali della scrittrice.
Scavando nel torbido dei fatti di cronaca nera legati al regime dittatoriale cileno, la Fernández  inframezza la riproduzione storica degli eventi (a volte infarciti da necessari ma mai invadenti voli di fantasia) con toccanti esperienze personali, in un connubio unico tra finzione, memoir e non-fiction. Così le strazianti storie personali dei desaparecidos e delle loro famiglie, si mischiano all’infanzia dell’autrice, che ha vissuto quegli anni da spettatrice inconsapevole, metabolizzando un dolore che ritorna a galla, prorompente, nella sua esistenza da adulta.

La dimensione oscura” è un libro sulla sofferenza e sulla perdita ma anche sulla memoria e sulla necessità di ricordare la devastazione del regime di Pinochet. Perché soltanto ricordando si potrà rendere giustizia a chi si è immolato per la libertà, a chi è stato vittima di soprusi e di violenze ma non si è piegato, affrontandole a testa alta. Un libro necessario per chi vuole dare la giusta importanza alle testimonianze del passato ma che nel frattempo lancia uno sguardo speranzoso al futuro.

Voto: 5/5

Mr. P.