Ci siamo appena lasciati alle spalle il 2017 ed è giunto quindi il momento di dare un ultimo sguardo indietro, questa volta non per quanto riguarda le letture ma dal punto di vista musicale. L’anno appena trascorso si è rivelato ricco di uscite discografiche particolarmente interessanti. Ho scoperto nuovi artisti, le cui note sono entrate dritte nel mio cuore, e ci sono stati grandi ritorni di band che amo. Ho stilato una mia personalissima top 20, con un focus particolare sulle prime dieci posizioni. Tra rivelazioni, colonne sonore e grandi ritorni, è giunto il momento di iniziare!
10. DARDUST – SLOW IS (BALLADS FOR PIANO AND STRING QUARTET LOST IN SPACE)
Dopo i primi due dischi di una trilogia che si concluderà nei prossimi mesi, Dardust (all’anagrafe Dario Faini), sforna uno stupendo lavoro di rivisitazione di alcuni pezzi che compongono i suoi primi due album. Messe da parte le derive elettroniche di “Birth”, il compositore di Ascoli Piceno riarrangia una manciata di vecchi brani per piano e quintetto d’archi. Il risultato è un crescendo d’emozioni, in cui la matrice intimistica e malinconica dell’esordio “7” torna a fare da padrona, regalando picchi di autentico lirismo. Completano il disco due struggenti inediti, che spero siano il sintomo della piega che prenderà in futuro la musica di Dardust, che ho sempre maggiormente apprezzato quando il pianoforte prende il sopravvento.
Best track: Gravity
9. DEPECHE MODE – SPIRIT
Il 2017 ha visto anche il ritorno dei Depeche Mode con “Spirit”: sicuramente un album non perfetto ma pieno di carattere e chiara testimonianza di quanto i Depeche Mode si possano permettere di miscelare elettronica, sentimento e testi graffianti senza mai risultare banali. L’apertura è fulminante con “Going backwards”, per chi scrive tra i migliori pezzi dell’anno, per proseguire poi con l’incalzante “Where’s the revolution?” e l’elettronico delirio di “Scum”, non dimenticando le aperture melodiche come “The worst crime” e “Cover me”. Non manca ovviamente il cantato di Martin che dà, come sempre, ottime prove nella cinematografica “Eternal” e nella eterea “Fail”. Il terzetto inglese continua a non sbagliare un colpo.
Best track: Going backwards
8. WILSEN – I GO MISSING IN MY SLEEP
Ho conosciuto i Wilsen nel 2016 grazie alla stupenda “Centipede“, traccia d’apertura del disco, e aspettavo con molta curiosità il loro esordio ufficiale, se si esclude il primo album autoprodotto. L’attesa è stata ben ripagata da un lavoro intenso e raffinato. Chitarre acustiche, atmosfere rarefatte e testi intimistici sono gli ingredienti per questo “I go missing in my sleep”. Memore dei primi Daughter, il terzetto di New York ci regala grandi pezzi come la sognante “Heavy steps”, l’eleganza malinconica di “Emperor” o l’ottimo singolo “Garden”. Ma il meglio i Wilsen ce lo riservano nel finale con la dolcezza della bucolica “Final” e la cupa scia strumentale di “Told you”. Un esordio promosso a pieni voti.
Best track: Centipede
7. DAUGHTER – MUSIC FROM BEFORE THE STORM
I Daughter, che nel 2016 avevano dato alle stampe il mio disco dell’anno, si riaffacciano sulle scene anche nel 2017. Questa volta però componendo la colonna sonora del videogioco “Life is strange”. Musiche altamente immaginifiche (come ogni buona colonna sonora che si rispetti dovrebbe essere) si alternano a pezzi più canonici, in cui svetta la stupenda voce di Elena Tonra. Atmosfere rarefatte e crescendo strumentali (l’opener “Glass” o la magnifica “Witches”) vanno a braccetto con canzoni dal piglio decisamente più rock e sperimentale (“Departure” e “Dreams of William”). Non mancano però i classici pezzi alla Daughter, come le due perle del disco “All I wanted” e “A hole in the heart”. Anche con i vincoli imposti dalle colonne sonore, i Daughter hanno saputo tirare fuori un grande lavoro.
Best track: A hole in the heart
6. ÓLAFUR ARNALDS – BROADCHURCH: THE FINAL CHAPTER
Altra colonna sonora: questa volta si tratta del bravissimo musicista islandese Ólafur Arnalds e delle musiche composte per la serie tv “Broadchurch”, per il sottoscritto tra i migliori telefilm degli ultimi anni. Arnalds si era già occupato di musicare le prime due stagioni, ponendo il suo sigillo musicale anche su questo terzo e ultimo capitolo. In questo caso, almeno per quanto mi riguarda, musica e immagini vanno a braccetto. La splendida colonna sonora, a volte eterea, altre cupa, altre intrisa di una struggente mestizia, è perfetta per accompagnare la malinconia che si respira durante tutta la serie. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi di colpo tra le scogliere di “Broadchurch”. Il mio consiglio quindi è quello di guardare prima il telefilm, per poi assaporare al meglio le musiche: non ve ne pentirete.
Best track: The final chapter
5. STARSAILOR – ALL THIS LIFE
L’anno appena passato ha visto anche il ritorno sulle scene musicali degli Starsailor, una delle band che hanno segnato la mia adolescenza e che mancavano con un album di inediti dal 2009. La formula del quartetto inglese è sempre la stessa: chitarre acustiche, la voce cristallina di James Walsh e testi introspettivi. Non mancano però le sortite in territori più rock come il bellissimo primo singolo “Listen to your heart” o l’energia di “Best of me” o gli azzardi sperimentali di “Caught in the middle” o di “Fia (fuck it all)”, con lo stupendo tappeto strumentale finale. Ma è in episodi che richiamano i primi Starsailor che i nostri sanno prenderci il cuore in mano senza esitazioni, su tutti “Sunday best” e “Break the cycle”, autentici gioiellini del disco. Un ritorno che convince.
Best track: Sunday best
4. ELBOW – LITTLE FICTIONS
Poche band sanno essere raffinate e delicate come gli Elbow. Lo conferma anche l’ultimo lavoro “Little fictions”, che mette in chiaro fin da subito il fatto che ci troviamo davanti a un grande disco. L’apertura è infatti affidata a “Magnificent (she says)”, che con i suoi archi, per il sottoscritto, è forse il miglior pezzo del 2017. Ma “Little fictions” è pieno di sorprese: dalle percussioni di “Gentle storm” agli oltre otto minuti della sperimentale title track, passando per il pop luminoso di “All disco”. Una nuova prova di maturità per la band inglese, che si dimostra ancora una volta costruttrice di canzoni perfette.
Best track: Magnificent (she says)
3. GIULIA’S MOTHER – HERE
Il duo piemontese è stata la mia rivelazione musicale del 2016 con lo stupendo “Truth”. Il 2017 li ha visti tornare con “Here”, un piccolo capolavoro ancora più bello dell’esordio. Chitarra acustica, batteria e la bella voce di Andrea Baileni gli ingredienti, ma con una maggiore consapevolezza nei propri mezzi e un pizzico di sperimentazione in più. Così, a ballate classiche dal sapore malinconico come la struggente “Memory” o la delicata “Closeness”, si alternano i sei minuti di cavalcata di “Consciousness”, le atmosfere desertiche del magnifico primo singolo “Past” o ancora il viaggio onirico di “Who are you?”. Graditissime sorprese sono “Oltre”, il primo pezzo in italiano della band, che dimostra di cavarsela benissimo anche con la nostra lingua, e la cover dei Beatles “Long long long”. Un secondo disco folgorante: dei Giulia’s Mother state certi che ne sentiremo parlare ancora a lungo.
Best track: Consciousness
2. AMBER RUN – FOR A MOMENT I WAS LOST
Non conoscevo gli Amber Run ma ho capito che mi sarei innamorato del loro secondo disco non appeni ho letto il titolo. E così è stato: “For a moment I was lost” è stata un’autentica rivelazione. Premetto che non si tratta di nulla di innovativo o di non ancora sentito, ma il quartetto di Nottingham è riuscito a sfornare una manciata di canzoni incredibili. Si passa dal pop malinconico di “Fickle game”, al rock nervoso di “Perfect”, all’oscurità elettrica di “Dark bloom”. Ma gli Amber Run sanno affascinarci anche con il crescendo della tormentata “Wastelands”, l’indie rock praticamente perfetto di “Stranger” o il piano rarefatto di “Are you home?”. Semplicità ed emozionalità vanno a braccetto in un disco che farà la felicità degli amanti di band come gli Snow Patrol, i Doves o i primi Coldplay.
Best track: Dark bloom
1. THE NATIONAL – SLEEP WELL BEAST
Sul gradino più alto del podio non potevano che esserci loro. I The National tornano con un piccolo capolavoro in cui hanno abbandonato in parte i territori conosciuti sviluppati con gli ultimi dischi, per addentrarsi in sonorità più ardite e sperimentali. Già il primo singolo, l’ottima “The system only dreams in total darkness”, aveva messo in chiaro che non ci saremmo trovati di fronte ai soliti National. Impressione confermata dal rock sgangherato di “Turtleneck”, dal tappeto elettronico della parlata “Walk it back” o dall’oscurità impenetrabile della title track. Non mancano però episodi 100% National come la fantastica “Day I die”, la struggente malinconia di “Guilty party” o la nostalgica “Carin at the liquor store”. Un disco perfetto, in cui tradizione e innovazione (riferendoci sempre al passato musicale della band) si mischiano in maniera esemplare. Un disco che ci accompagnerà ancora a lungo nei prossimi mesi.
Best track: Guilty party
Ed eccovi la seconda parte della classifica, con le posizioni dalla 11 alla 20 e il consiglio della best track per ogni disco:
11. FEEDER – ARROW
Best track: Veins
12. SAMUEL – IL CODICE DELLA BELLEZZA
Best track: Qualcosa
13. VANCOUVER SLEEP CLINIC – REVIVAL
Best track: Someone to stay
14. KOMMODE – ANALOG DANCE MUSIC
Best track: Captain of your sinking ship
15. SOHN – RENNEN
Best track: Rennen
16. CHARLIE FINK – COVER MY TRACKS
Best track: Someone above me tonight
17. COLDPLAY – KALEIDOSCOPE EP
Best track: A L I E N S
18. THE SHINS – HEARTWORMS
Best track: So now what
19. MEW – VISUALS
Best track: The wake of your life
20. ANOHNI – PARADISE EP
Best track: Paradise
E il vostro 2017 musicale com’è stato? Quali sono i dischi che vi hanno accompagnato durante i mesi appena trascorsi? Fatecelo sapere!
Mr. P.