Nigel Nicolson – Ritratto di un matrimonio

Titolo: Ritratto di un matrimonio

Autore: Nigel Nicolson

Editore: Lindau

Anno: 2018

Pagine: 296

Prezzo: € 23,00

“Ma, come sola giustificazione, separo i miei amori in due metà: da una parte il mio amore per Harold, ch’è perenne e inalterabile, è la cosa migliore, e non v’è mai stato altro che purezza in questo mio sentimento, come non v’è mai stato altro che assoluta candidissima purezza nel suo spirito; e, dall’altra parte, v’è la mia natura perversa, che amò e tiranneggiò Rosamund, finendo per abbandonarla senza un palpito di rimorso, e che adesso è irrimediabilmente legata a Violet. Ho qui un foglietto su cui Violet, psicologa d’intuito, ha scritto una volta: «La parte superiore del tuo volto è purissima e solenne – quasi infantile. E la parte inferiore è imperiosa, sensuale, quasi brutale. E ciò forma il più assurdo dei contrasti, ed è straordinariamente emblematico della tua duplice personalità, alla dottor Jekyll e Mister Hyde». Questo è il nocciolo della questione, e ben vedo adesso che la mia maledizione è in questo dualismo, contro cui per debolezza e intemperanza non ho saputo lottare.”

Credo che ormai si sia capito: ho una passione particolare per tutti quei libri che prendono la forma del diario, dello scambio epistolare, del memoir. Immergermi totalmente nella vita di qualcuno – di un artista, perlopiù – me lo fa sentire vicino, mi permette di conoscerlo meglio, di trovare dei punti di contatto tra me e lui e di analizzare (e forse comprendere?) poi in un modo più approfondito le sue opere. Ecco i motivi che mi spingono a leggere questo tipo di letteratura, molto personale, molto intima, spesso anche molto dolorosa. Non stupisce quindi il mio interesse per “Ritratto di un matrimonio”, opera a metà tra biografia e autobiografia, a cura di Nigel Nicolson, pubblicata da Edizioni Lindau. Questo volume è particolare proprio perché è un vero e proprio ritratto della vita di due persone, tracciato però a quattro mani. La coppia in questione è quella formata da Vita Sackville-West e da suo marito Harold Nicolson. Le ‘quattro mani’ sono quelle di Vita stessa, che all’età di ventotto anni confessa nero su bianco, in un quaderno, i segreti nascosti nel suo cuore, e quelle di Nigel, suo figlio, che una volta adulto decide di pubblicare quelle memorie e di completarle, narrando l’incredibile e tormentata storia d’amore dei suoi genitori. Le due voci, dunque, si alternano nei diversi capitoli, insieme a quelle di altri protagonisti delle vicende narrate: preziosissime sono le testimonianze fornite da lettere, fotografie, diari di familiari e amici, piccoli pezzi del puzzle che messi insieme riescono a dare un quadro più generale dei quarantanove anni di matrimonio di Vita e Harold. Che cosa ha reso così speciale questo rapporto? – qualcuno potrebbe chiedere.

Vita incontra per la prima volta Harold nel giugno 1910,  giovanissima: lei ha a malapena diciotto anni, lui ventitré. Anche se fin dall’inizio è affascinata dal suo modo di fare gioioso e intelligente e dai suoi capelli ricci, la donna non s’interessa granché di lui: apprezza sì la sua compagnia ma non riesce a vederlo da un punto di vista diverso, che trascenda la semplice amicizia. Vita è infatti attratta dalle donne, dalla sua amica di sempre, Rosamund, e nel suo quaderno afferma di essere stata  – in quel periodo – “molto innamorata” di lei. I due cominciano comunque una frequentazione più o meno abituale e, ricordando la sera della proposta di matrimonio al ballo di Hatfield (nel gennaio 1912), Vita scrive: “Non mi aveva mai neanche parlato d’amore – non una parola, mai – e m’ero accorta di piacergli solo perché cercava in ogni modo di star con me, e quand’era lontano mi scriveva sempre. Inoltre, me l’avevan messo in testa le chiacchiere della gente. Avevo sempre pensato che si sbagliassero, ma no; e quella sera stessa al ballo [di Hatfield] mi chiese di sposarlo, e io gli risposi di sì. Lui era molto timido, e si strappò a uno a uno tutti i bottoni dei guanti; e io ero spaventata, e cercavo di impedirgli di arrivare al dunque”. Nonostante queste sue memorie, la giovane Vita pare realmente confusa: come è possibile notare dai diari dell’epoca (suoi e della madre, Lady Sackville), la sua risposta non fu né totalmente positiva né totalmente negativa. Chiese del tempo e, per questo motivo, il fidanzamento fu tenuto nascosto per mesi e rimandato ufficialmente, complice anche la partenza di Harold per Costantinopoli. Sempre convinta di avere una duplice natura, conscia del fatto che per lei “amare” significasse poter rivolgere questo sentimento a più di una persona, dopo una serie di tensioni e peripezie Vita sposò Harold il primo ottobre 1913, a Knole, il maniero dove lei era cresciuta.

La complessità del loro rapporto, però, non si esaurì semplicemente prima del matrimonio, anzi: fu proprio negli anni che seguirono che le cose si complicarono ulteriormente. L’amicizia di vecchia data tra Vita e Violet Trefusis, “ambigua” nei sentimenti fin dall’adolescenza (“Ti amo, Vita, perché ho visto la tua anima” le scriveva Violet nel 1910, ad appena sedici anni), subì un’evoluzione e tra le due donne emerse un’appassionata e violenta storia d’amore. Un continuo rincorrersi, trascorrere mesi lontane dai rispettivi compagni ma sempre insieme, una vita passata a scrivere e a viaggiare: Cornovaglia, Italia, Francia, Inghilterra. Quattro anni (dal 1918 al 1921) a dir poco impetuosi, felici a tratti, in cui il rapporto con suo marito – nonostante le vicende e le lettere amareggiate che lui le mandava – non vacillò mai veramente, perché lui stesso non nascondeva a sua moglie le sue relazioni omosessuali. Gradualmente, dopo promesse infrante e fughe travolgenti, la relazione tra le due donne s’interruppe, soprattutto per volere di Vita stessa. Nel dicembre 1922 scriverà ad Harold: “Non vorrei aver niente a che fare con Violet, di nuovo, neanche per tutto l’oro del mondo. E neanche se tu non esistessi – te che amo nel modo più profondo, e inguaribilmente. Oh lo so cosa dirai! «Ma mi amavi anche allora, eppure sei andata via con lei». E’ proprio vero. Ti amavo, sì, e ti ho sempre amato, anche in quegli anni disgraziati… Ma lo sai, no, cos’è l’infatuazione. E io ero pazza”. I due rimasero insieme per tutta la vita e il loro amore, pur superando altre prove – comunque mai così difficili come le precedenti – , riuscì a resistere, perfettamente intatto.

Sono due le cose che mi hanno particolarmente toccata di questa storia – che, ricordiamolo, è realmente accaduta. La prima ha a che fare con la tenacia e la determinazione che possono legare due persone: nonostante Vita e Harold abbiano avuto entrambi altri amanti, altri amori, si siano allontanati per diversi periodi, abbiano sofferto e siano stati egoisti, hanno sempre creduto in ciò che li univa, sono sempre tornati, alla fine, l’uno dall’altro, e non per abitudine o per noia, ma per un sentimento profondo e raro. Questo mi porta alla seconda cosa che mi ha colpita: il modo estremamente moderno in cui entrambi concepivano il matrimonio. Una relazione aperta, libera, in cui non ci si doveva sentire costretti ad alcunché. Chi l’ha deciso che l’oggetto del nostro amore dev’essere necessariamente uno soltanto? Perché non può essere anche un altro uomo, un’altra donna per me, e viceversa per il mio compagno? Si tende spesso a giudicare, ancora oggi, chi percorre una strada differente da quella che pare più diffusa: vogliamo davvero abbassarci a ciò e non comprendere che, invece, è meraviglioso fare semplicemente ciò che si desidera, al di là delle convenzioni, sempre naturalmente con rispetto nei confronti degli altri? Nigel Nicolson stesso, ad un certo punto, parlando di sua madre afferma: “Combatté per il diritto di amare, uomini e donne, respingendo la convenzione per cui solo la fedeltà si addice al matrimonio, e quell’altra per cui le donne devono amare soltanto gli uomini, gli uomini soltanto le donne. Per questo era disposta a rinunciare a tutto. Sì, sarà stata pazza – come disse, in seguito, lei stessa – ma era una magnifica follia. Sarà stata crudele, ma la sua era crudeltà di dimensioni eroiche. Come posso spiegare la violenza d’una tale passione? E come potrebbe a lei rincrescere che ne giunga notizia a una nuova generazione, infinitamente più comprensiva della sua?”. 

Voto: 4/5

Mrs. C.

Nona Fernández – La dimensione oscura

Titolo: La dimensione oscura

Autore: Nona Fernández

Editore: Gran Vía

Anno: 2018

Pagine: 213

Prezzo: € 16,00

“Apriamo di nuovo questa porta. Al di là troveremo un’altra dimensione. Un mondo da sempre nascosto dal vecchio trucco che vi fa volgere lo sguardo altrove. Un territorio ampio e oscuro che sembra lontano, ma che si trova vicino come l’immagine che lo specchio ci restituisce ogni giorno. State passando dall’altra parte del vetro, direbbe l’intensa voce fuori campo della mia serie preferita. State entrando in una dimensione ai confini della realtà.”

Poche volte mi è capitato di rimanere così spiazzato davanti a un libro. Quando mi sono ritrovato tra le mani “La dimensione oscura” davvero non avevo idea a cosa sarei andato incontro. Romanzo? Saggio? Memoir? L’opera di Nona Fernández è nello stesso tempo tutto questo e nulla di quello che ho elencato. La somma delle parti ha creato qualcosa di unico e straordinario. Un atroce spaccato della storia del Cile ma anche un distillato amaro della vita dell’autrice, tra ricostruzioni autentiche e viaggi nella coscienza. Un libro che genera dolore, anche a chi come me abita a migliaia di chilometri di distanza e nel 1984 era appena nato, e che trascina il lettore in una dimensione alternativa, in cui pallide lame di luce tentano di dare un senso a un buio che attanaglia il cuore.

Protagonista della storia narrata dalla Fernández  è il Cile martoriato di Augusto Pinochet degli anni ’70 e ’80, in cui gli oppositori e i detrattori del regime si trasformavano in desaparecidos, tra brutali torture, uccisioni e rapimenti. In mezzo a questo vortice di orrore spunta una data che, nel bene e nel male, contribuirà a cambiare la storia cilena: il 27 agosto 1984. La mattina di quel giorno, uguale a centinaia di altre mattine trascorse in balia della dittatura di Pinochet, Andrés Antonio Valenzuela Morales, che la Fernández  chiama “l’uomo delle torture”, si reca negli uffici di “Cauce“, rivista dell’opposizione. Quell’uomo ha soltanto una volontà: parlare, confessando i terribili crimini commessi contro i desaparecidos. Vuole svuotarsi la coscienza, vomitare tutto il proprio disgusto per la sua vita scellerata, che pesa come un macigno sulla sua anima ormai marcita. Un’ammissione che culminerà in un articolo in prima pagina, con una copertina in cui campeggia la foto dell'”uomo delle torture” e la gigantesca scritta “Io aguzzino“. Proprio grazie a quell’articolo l’autrice conoscerà “l’uomo delle torture”, che si tramuterà in una costante all’interno della sua vita, riapparendo più volte a distanza di anni, fino a quando la Fernández immagina di spedirgli una lettera per comunicargli che intende scrivere un libro su di lui. Lui che sciaguratamente rappresenta in modo magistrale “la dimensione oscura”, sorta di limbo parallelo alla realtà, cupo universo fatto di violenza, morte e scomparse. A questo proposito, particolarmente azzeccato e originale diventa il paragone che l’autrice elabora tra la dimensione oscura della dittatura cilena e la serie tv cult degli anni ’60 “Ai confini della realtà“, spettacolo televisivo che riempiva i pomeriggi adolescenziali della scrittrice.
Scavando nel torbido dei fatti di cronaca nera legati al regime dittatoriale cileno, la Fernández  inframezza la riproduzione storica degli eventi (a volte infarciti da necessari ma mai invadenti voli di fantasia) con toccanti esperienze personali, in un connubio unico tra finzione, memoir e non-fiction. Così le strazianti storie personali dei desaparecidos e delle loro famiglie, si mischiano all’infanzia dell’autrice, che ha vissuto quegli anni da spettatrice inconsapevole, metabolizzando un dolore che ritorna a galla, prorompente, nella sua esistenza da adulta.

La dimensione oscura” è un libro sulla sofferenza e sulla perdita ma anche sulla memoria e sulla necessità di ricordare la devastazione del regime di Pinochet. Perché soltanto ricordando si potrà rendere giustizia a chi si è immolato per la libertà, a chi è stato vittima di soprusi e di violenze ma non si è piegato, affrontandole a testa alta. Un libro necessario per chi vuole dare la giusta importanza alle testimonianze del passato ma che nel frattempo lancia uno sguardo speranzoso al futuro.

Voto: 5/5

Mr. P.

Dario Pontuale – La Roma di Pasolini: Dizionario Urbano

Titolo: La Roma di Pasolini – Dizionario urbano

Autore: Dario Pontuale

Editore: Nova Delphi

Anno: 2017

Pagine: 320

Prezzo: € 15,00

“Al pederasta, all’omosessuale, al sodomita, al deviato, all’invertito, al pedofilo, al finocchio, al ricchione, al “froscio” il pantano dell’Idroscalo tappa per sempre la bocca.
Allo scrittore, al poeta, al giornalista, al critico, al regista, all’intellettuale il pantano dell’Idroscalo permette ancora di essere un avversario scomodo.”

Lo ammetto: non ho mai avuto la giusta occasione di approfondire l’opera di Pier Paolo Pasolini. Forse per mancanza di tempo, di volontà o del momento propizio, ma non certo per mancanza di curiosità. La figura di uno dei maggiori intellettuali a cui il nostro Paese ha dato i natali ha sempre esercitato su di me un grande fascino, seppur mai sfociato nella lettura delle sue opere o nella visione dei suoi film. Così, quando mi è stato proposto di leggere “La Roma di Pasolini“, un testo ibrido a metà tra saggio e guida, ho accettato senza pensarci due volte. Un po’ perché Dario Pontuale per me è ormai diventato una garanzia di qualità e un po’ perché mi è sembrato un modo originale e fuori dagli schemi per iniziare la mia avventura pasoliniana.

Dario Pontuale, romano di nascita, ha scelto di organizzare la sconfinata produzione di Pasolini prendendo come punto di riferimento Roma, città nella quale il poeta friulano ha trascorso 25 anni della propria vita (dal 1950 al 1975), trovandovi poi anche tragicamente la morte. Il dizionario urbano di Pontuale, dividendo le voci in ordine alfabetico come ogni buon dizionario che si rispetti, analizza quindi le opere, sia letterarie che cinematografiche, che Pasolini ha concepito nella capitale d’Italia, dove Roma fa da sfondo alle vicende narrate, diventando a volte coprotagonista stessa delle storie. Così ritroviamo autentici classici del cinema e della letteratura italiana come “Accattone“, “Uccellacci e uccellini”, “Ragazzi di vita” o ancora “Una vita violenta“. Opere che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura italiana di quegli anni ma anche in quelli a venire. Capolavori legati in maniera indissolubile alla città eterna, che hanno tratto dal luogo in cui sono ambientati preziosa linfa vitale.
Lo scritto di Pontuale però non si limita ad approfondire le opere dell’ingegno di Pasolini ma si addentra nei venticinque anni di vita che il poeta ha trascorso nella capitale, tra piazze, vie, ristoranti e monumenti. Una vera e propria guida ai luoghi che hanno ispirato Pasolini e che hanno permesso all’intellettuale di diventare il maestro indiscusso che oggi tutti noi ricordiamo. Così “La Roma di Pasolini” si tramuta anche in una guida alla città, da scoprire sotto la lente dell’opera pasoliniana. Leggendo della via Appia, del quartiere di Monteverde o della trattoria “Al Biondo Tevere” sembra quasi di essere tra quelle strade, in mezzo alla caciara e al clima che si respirava negli anni ’50 e ’60. Più di una volta, leggendo avidamente il dizionario di Pontuale, avrei voluto trovarmi nel mezzo della Capitale per imbarcarmi in una piccola odissea alla ricerca dei luoghi pasoliniani dispersi in tutta la città. Tra le vie e le piazze romane ritroviamo anche la scena intellettuale dell’epoca, composta da poeti, scrittori e registi che hanno accompagnato Pasolini durante l’intero quarto di secolo trascorso a Roma. Parliamo di intellettuali del calibro di Alberto Moravia, Dacia Maraiani, Elsa Morante, Bernarndo Bertolucci e Giorgio Bassani (per citarne solo alcuni), ognuno dei quali trova una specifica e dettagliata voce all’interno dell’atipico saggio di Pontuale.

La Roma di Pasolini” è un volume prezioso, da consultare ogni volta in cui nasca in noi la voglia di (ri)scoprire qualcosa di diverso su uno dei più significativi personaggi culturali (e non solo) del nostro Paese. Un ottimo punto di partenza per chi, come me, ancora non si era addentrato nel cuore dell’opera pasoliniana e uno strumento ricco di nuovi spunti per chi già è appassionato degli scritti e delle pellicole del poeta friulano.
Pochi giorni dopo aver terminato la lettura, durante una delle mie consuete incursioni in libreria, ho acquisto “Ragazzi di vita“, incuriosito dalle citazioni riportate da Pontuale e dalle sue parole a riguardo del libro. E quando un saggio riesce a solleticare la curiosità del lettore, inducendolo ad acquistare le opere di cui tratta, credo che abbia realmente colto nel segno.

Voto: 5/5

Mr. P.

Amy Fusselman – Il medico della nave / 8

Titolo: Il medico della nave / 8

Autore: Amy Fusselman

Editore: Edizioni Black Coffee

Anno: 2017

Pagine: 208

Prezzo: € 13,00

“Me ne stavo sdraiata lì, a percepire quelle mani su di me nonostante lo spazio che ci separava, e pensavo, Se non è lo spazio, allora cosa separa le persone? Conoscevo la risposta: quello che separa le persone non è lo spazio, ma il tempo.”

È innegabile: la non-fiction sta prendendo il sopravvento, ultimamente, anche e soprattutto nella forma del memoir. Abbiamo forse bisogno di qualcosa che vada al di là della finzione, di qualcosa che ci ricordi i nostri legami con la realtà di tutti i giorni, che ci faccia pensare “Tutto questo è accaduto davvero, perciò lo sento più vicino a me, più autentico?”. Qualunque sia il motivo, anche per Edizioni Black Coffee è giunto il momento di confrontarsi con un’opera del genere: “Il medico della nave / 8”, infatti, sono due lavori autobiografici della scrittrice newyorkese Amy Fusselman, riuniti nell’ultima uscita della casa editrice toscana, dalla copertina ancora una volta brillante e significativa.

Fin dalle prime frasi de “Il medico della nave”, Amy Fusselman mette in evidenza quelli che saranno due punti fermi di questo suo lavoro: la maternità («Io voglio restare incinta. O meglio, non voglio morire senza aver avuto figli.») e la morte, recente, del padre («Un tempo ero una bambina, avevo un padre. Ora mio padre è morto. E’ morto due settimane fa.»).  Due concetti completamente opposti si contrappongono per tutta la prima parte del libro: da un lato troviamo un desiderio fermo, costante, ricercato con fatica e speranza, talvolta con paura e frustrazione, una volontà che ha a che fare con la nascita, l’aprirsi alla vita, al cominciare a scrivere la propria storia, ogni giorno. Dall’altro, assistiamo, impotenti come la scrittrice stessa, allo spegnersi di un’esistenza, e a tutto ciò che questo comporta. La Fusselman alterna continuamente le sue sensazioni, i suoi timori ed il suo arduo percorso verso la maternità ai ricordi trascritti dal genitore in un diario tenuto quando era medico su una nave durante la Seconda Guerra Mondiale. In qualche modo, grazie a quelle pagine ormai passate, il padre della scrittrice riesce a rivivere, a dare un segno non solo al lettore, ma anche alla stessa figlia che ancora lo cerca, nonostante tutto.

In “8”, Amy Fusselman continua le sue riflessioni, ampliandole ulteriormente: di fondamentale importanza il concetto di tempo, che qui viene sviscerato in tutte le sue sfumature. Tempo, quindi, non solo come ciò che separa le persone le une dalle altre, ma anche come base per imparare qualsiasi cosa («Gli esseri umani imparano tramite ripetizione. Questo ci rende vincolati al tempo.»), come fiume in cui continuamente siamo immersi («Tu ci sei dentro a quel fiume, e la tua vita si svolge lì, giorno dopo giorno, azione dopo azione.») ma anche come mappa, che l’uomo cerca di utilizzare razionalmente per controllare ciò che, forse, ancora non conosce perfettamente. Ed è nel tempo stesso che si muove la penna della scrittrice, andando a ritroso, ricordando il suo amore per il pattinaggio, per le sue figure, le esperienze di terapia affrontate negli anni (da quella psicologica, tradizionale, a quelle più alternative). Il fil rouge che lega la maggior parte dei suoi ricordi, però, ha a che fare con un trauma vissuto quand’era bambina ed è proprio alla persona che ha dato vita a tutto ciò che la Fusselman si rivolge: il suo pedofilo. Se sono stata in grado sentire in modo vivido soltanto alcune parti di questo libro – forse a me i memoir non fanno l’effetto che ho ipotizzato all’inizio? Sono più attratta da ciò che non è completamente frutto dell’esperienza reale altrui? -, è con il ringraziamento dell’autrice all’uomo che ha influenzato irrimediabilmente la sua vita che ho avvertito le prime, vere, coltellate in pieno petto. «Ed è con gioia che ora dico: grazie, pedofilo. (…) grazie di aver fatto di me una scrittrice; (…) grazie di avermi spaventata a morte e avermi reso coraggiosa; grazie di avermi fatto credere di essere una supereroina che stava salvando la sua famiglia da morte certa».

Credo sia questo, forse, il messaggio più importante celato nelle pagine di entrambi i lavori: riuscire a scorgere un po’ di luce, là dove sembra esserci soltanto il buio più totale.  Ricordare per tenere ben presente, ben vivo il proprio percorso, ciò che si è superato e ciò che si è in grado di affrontare. Comprendere la paura del futuro, accettarla, farla propria ma poi metterla da parte: e non dimenticare mai, mai, che «La più grande menzogna del mondo è quella che ci fa credere che se una cosa è successa una volta, succederà di nuovo».

Voto: 3,5/5

Mrs. C.

Dario Pontuale – Ciak si legge

Titolo: Ciak si legge – Capolavori senza tempo raccontati a chi ha poco tempo

Autore: Dario Pontuale

Editore: Ianieri Edizioni

Anno: 2017

Pagine: 180

Prezzo: € 16,00

“Scoprirai che leggere avvera i desideri e amplifica i sogni.”

“Perché la cultura è proprio questo: insegnarsi reciprocamente a leggere.” [dalla postfazione di Valerio Nardoni]

Quante volte vi sarà capitato di ascoltare la tipica frase: «Non ho letto il libro ma ho visto il film!». Decine e decine di volte, ci scommetto. Questo magari per pigrizia, perché non si è (ancora) tra i cosiddetti “lettori forti” oppure semplicemente perché è capitato di trovarsi davanti il film in televisione ma poi ci si è dimenticati di recuperare il libro. È accaduto a chiunque e non c’è nulla di cui vergognarsi.
Ciak si legge“, del bravissimo scrittore, saggista a curatore di classici Dario Pontuale, è proprio rivolto a chi vorrebbe addentrarsi nel meraviglioso mondo della letteratura classica ma non riesce a ritagliarsi il tempo necessario o non ha ancora sviluppato tale desiderio come si deve, ma necessita di una spintarella da chi la scrittura e la lettura le respira ogni giorno.

Il volume nasce da una serie di incontri che l’autore ha tenuto in varie biblioteche romane, in cui ogni volta presentava al pubblico ignaro un classico. Al termine della serata, Pontuale trascriveva il tutto per tenerne traccia, creando di fatto la raccolta di saggi che compone il libro. Ventidue sono gli autori che ci vengono raccontati, ognuno tramite un’opera, che non necessariamente si rivela essere la più conosciuta o significativa. Le scelte di Pontuale spaziano da classici ottocenteschi (Melville, Tolstoj, Flaubert) ad autori più moderni (Bukowski, Camus, Salinger), passando per la grande letteratura italiana (Buzzati, Pavese, Fenoglio). Una carrellata di scrittori e opere immortali, presentati ognuno con una piccola biografia, una citazione e un’illustrazione originale della classe del 2° anno del Corso di Illustrazione della Scuola Internazionale di Comics di Padova. Disegni che impreziosiscono ulteriormente il volume e che diventano vere e proprie chicche per bibliofili e non. Ovviamente non può mancare il riferimento cinematografico, con tutte le informazioni utili sulla trasposizione in pellicola di ogni capolavoro. Il cuore del libro però sono i brevi saggi che accompagnano ogni autore, incentrati per la maggior parte sull’opera scelta da Pontuale. Approfondimenti che si tramutano quasi in racconti e da cui traspare in modo cristallino tutto l’amore, autentico e appassionato, che lo scrittore romano nutre per la lettura e in particolare per i classici. Gli accenni alle trame fanno molta attenzione a non svelare troppo, lasciando anzi il lettore con il fiato sospeso e con la voglia di saperne di più, di correre in libreria o in biblioteca e recuperare il volume. Pontuale è abilissimo a instillare in chi legge il desiderio di proseguire la lettura, lasciando che  la mente di ognuno spazi dall’attesa di Giovanni Drogo alla fortezza Bastiani, alle avventure marinaresche di Jim Hawkins e del temibilie Long John Silver o ancora all’inettitudine di Zeno Cosini. Un vero e proprio bignami a cui attingere quando si ha bisogno di uno stimolo autentico alla lettura.

Come tutte le altre opere di Pontuale che ho avuto il piacere di leggere, anche “Ciak si legge” è una dichiarazione d’amore verso il mondo dei libri e verso la duplice faccia della stessa medaglia, ovvero la scrittura e la lettura. Una passione che traspare nitida da ogni pagina di questa raccolta di saggi, che ha il compito, a mio avviso centrato in pieno, di trasmettere tale passione anche a chi la lettura non la mastica quotidianamente ma sente in sé il bisogno di evadere, sognare, essere teneramente cullato o deliziosamente spaventato. Insomma, chi sente ancora il bisogno di emozionarsi.

Voto: 4,5/5

Mr. P.