5 consigli per Halloween

Amo l’autunno: il caldo che se ne va, i mille colori delle foglie che appassiscono, le maglie pesanti, le tisane, le caldarroste, trascorrere le serate immersi in un libro. Soprattutto però amo l’autunno perché è l’atmosfera ideale per i racconti del terrore e le storie di fantasmi. Quale contesto migliore quindi se non l’avvicinarsi a grandi passi di Halloween, festa orrifica per eccellenza, per darvi qualche consiglio in materia? Quest’anno ho scelto tre libri, non a caso tutte raccolte di racconti, dato che per me la forma breve è perfetta per suscitare qualche brivido lungo la schiena, ma anche un film e una serie tv.
Quindi mettetevi comodi, spegnete la luce e iniziate a leggere, senza badare al temporale che imperversa fuori dalla vostra casa e a quegli strani rumori in corridoio che continuano a tenervi svegli…

ERALDO BALDINI – GOTICO RURALE

Sono sempre stato incuriosito da Eraldo Baldini e dal suo terrore associato alla campagna italiana e alle vecchie leggende contadine. Per iniziare a scoprirlo ho quindi puntato alla sua opera più conosciuta e forse miglior rappresentante di tale orrore.
Comincio subito con il dire che “Gotico rurale” è una raccolta di racconti pressoché perfetta. Ho amato l’ambientazione agreste, tra nebbie impenetrabili, sterminati campi di grano, capanne nei boschi e colline maledette, che si rivelano messaggeri di un’inquietudine tanto profonda quanto vicina a noi. I racconti di Baldini scavano a fondo nel nostro passato, portando a galla segreti e reminiscenze conturbanti, che affondano le radici in terrori ancestrali. Risvolti soprannaturali, dinanzi a cui l’uomo può soltanto piegarsi e pregare, indicibili efferatezze, vendette crudeli e misteri da custodire: Baldini in queste diciotto storie ci regala attimi di squisita paura, che ci incalzano a continuare, mai sazi, racconto dopo racconto. Grande importanza viene data ai bambini e forse proprio le vicende che vedono protagonisti i ragazzini sono quelle che lasciano addosso un maggior senso di malessere e di irrequietezza. Non manca infine anche qualche sana dose di humor nero, che però personalmente ho trovato un po’ stonato rispetto all’atmosfera che si respira nel resto dei racconti.
Gotico rurale” si è rivelata una delle migliore raccolte horror/weird che ho letto negli ultimi anni: credetemi, orrore e campagna insieme sono un mix esplosivo!

AUTORI VARI – LA BIBLIOTECA DI LOVECRAFT

La “Biblioteca di Lovecraft” è la nuova collana di Edizioni Arcoiris che si prefigge di portare in Italia classici del gotico, dell’horror e del weird, in parte inediti e in parti editi ma con nuove traduzioni.
Il primo volume prende il titolo direttamente dal nome della collana e ci propone quattro racconti di altrettanti autori elogiati dallo scrittore di Providence all’interno della sua opera saggistica. Accanto a due nomi imprescindibili nella storia della letteratura fantastica, come Ambrose Bierce e Montague Rodhes James, troviamo Edward Frederic Benson e l’accoppiata Erckmann/Chatrian, chicche da noi quasi sconosciute. Tutte le storie sono di alto livello e mescolano soprannaturale e squisite atmosfere ottocentesche, nella migliore tradizione dell’epoca d’oro delle ghost stories. L’orrore il più delle volte non si palesa direttamente ma viene evocato o suggerito, in un crescendo di inquietudine che avvolge il lettore. I fantasmi, reali o psicologici, che si aggirano tra le pagine del volume, emanano un terrore che non può prescindere dal clima e dagli ambienti che circondano i protagonisti, fonti di paura tanto quanto gli spiriti che li infestano.
Tra anziane signore vendicative, capanne nei boschi, persecuzioni e volti che ossessionano, “La biblioteca di Lovecraft” ci regala una prima raccolta davvero succulenta, curata nei minimi particolari, dalle traduzioni, fino alla bellissima grafica e alle illustrazioni interne. Un volume prezioso che inaugura una collana che, speriamo, avrà lunga vita.

AUTORI VARI – L’ORA DEGLI SPETTRI

Ricchissima antologia di storie di fantasmi, “L’ora degli spettri“, edita da Edizioni Hypnos, da sempre specializzata nella riscoperta del weird, propone al pubblico italiano ben 29 racconti, che vanno da metà Ottocento a metà Novecento, totalmente inediti al momento della pubblicazione. Pochi gli autori conosciuti, anche da chi abitualmente legge horror e gotico (esempi sono il grande Algernon Blackwood o W.W. Jacobs, da noi pluriantologizzato con il classico “La zampa di scimmia“), con grande spazio che viene lasciato a scrittori misconosciuti o i cui nomi solitamente non vengono associati alle ghost stories.
Le tematiche e le situazioni sviscerate ne “L’ora degli spettri” sono molteplici tanto che, accanto ai tipici racconti di fantasmi tanto cari al XIX secolo, in cui fanno la loro comparsa spiriti tormentati e vendicativi, che continuano ancora oggi a donare una deliziosa inquietudine, sono presenti racconti dai risvolti psicologici e meno lineari, a tratti quasi filosofici, a testimoniare come la tradizione delle storie di apparizioni soprannaturali non esaurisca il proprio fascino in stereotipi o schemi prestabiliti. Troviamo anche, a sorpresa, sprazzi di crudele ironia, a completare il quadro di un’antologia  che si rivela tutt’altro che monotematica.
Un bel compendio di racconti del terrore che farà felice chi, come me, degli spiriti proprio non può farne a meno.

JEREMY DYSON & ANDY NYMAN – GHOST STORIES

Ammetto di aver avuto qualche riserva, prima della visione di “Ghost Stories“, lungometraggio dalle tinte horror uscito nella sale italiane lo scorso anno. Ero ovviamente incuriosito ma pensavo di trovarmi di fronte al classico film dalle pieghe soprannaturali, sicuramente piacevole ma facilmente dimenticabile. Invece, per fortuna, mi sbagliavo di grosso.
Premetto subito che “Ghost Stories” non è un capolavoro di originalità ma pur nel suo “già visto” riesce a essere un ottimo film. La vicenda è incentrata su tre casi paranormali rimasti senza soluzione che vengono affidati al professore di psicologia Phillip Goodman. Le tre storie costituiscono il corpus centrale della prima parte dell’opera, rivelandosi tre buoni racconti horror ma nulla di più. Una classica pellicola del terrore come ce ne sono tante, godibile ma certo non memorabile. Ecco che però nell’ultima mezz’ora tutto cambia e quello che “Ghost Stories” sembrava essere, forse non lo è più.
Non farò spoiler perché sarebbe delittuoso ma il film della coppia Dyson/Nyman mi ha regalato uno sviluppo e un finale che ho adorato e che sono sicuro vi farà ricredere, anche a chi storcerà il naso durante la prima parte. Assolutamente perfetto per Halloween!

VEERLE BATENS & MALIN-SARAH GOZIN – TABULA RASA

Chiudiamo con “Tabula Rasa“, serie tv belga che trovate su Netflix. Prima di parlarne però, devo fare necessariamente due premesse. La prima è che “Tabula Rasa” non è una serie horror ma rientra nel filone del thriller psicologico. Tuttavia presenta elementi e atmosfere che non la farebbero sfigurare affatto come visione adatta per la notte delle streghe. La seconda è che è ingiustamente passata inosservata, fagocitata dalla miriade di serie che escono ogni mese. Vale però davvero la pena recuperarla, perché vi assicuro che “Tabula Rasa“, con i suoi innumerevoli colpi di scena, vi terrà incollati allo schermo dall’inizio alla fine.
L’idea di fondo è tanto semplice quanto intrigante: una donna, colpita da amnesia, diventa l’elemento cruciale per la risoluzione di un caso di scomparsa. Tutto giocato tra flashback che riportano a prima della perdita della memoria e il presente, in cui la donna è rinchiusa in un ospedale psichiatrico, “Tabula Rasa” regala sorprese a ripetizione, in un crescendo emozionale che trasporta lo spettatore nella mente turbata della protagonista.
Una serie tv che, pur sviluppando tematiche ed elementi a tratti non così originali, colpisce a fondo la curiosità dello spettatore, regalandoci un racconto in bilico tra crime, sfumature horror e indagine psicologica che merita di essere visto, forse più di tanti altri telefilm blasonati ma di scarsa qualità.

Mr. P.

Intervista a Black Dog Edizioni

Per il nostro blog questa è un’occasione davvero speciale: oggi abbiamo l’onore di ospitare, in anteprima, la neonata casa editrice Black Dog, rappresentata dal suo fondatore Marcello Figoni. Una casa editrice con un manifesto letterario importante e già ben definito: Black Dog infatti nasce con l’intento di portare in Italia opere inedite a cavallo tra Ottocento e Novecento o di riscoprire vecchi classici, restituendogli rinnovata linfa vitale con nuove traduzioni. Il genere di riferimento è il fantastico, in tutte le sue declinazioni: horror, gotico, fantascienza, weird. Ma bando alle ciance: diamo direttamente la parola a Marcello!

Ciao Marcello e benvenuto su Blog con Vista. Ti ringraziamo molto per essere qui con noi per presentarci in esclusiva Black Dog. Com’è nata l’idea di fondare una casa editrice dedicata interamente al fantastico, genere che noi adoriamo, ma che purtroppo in Italia spesso viene considerato ancora superficialmente un genere di serie B?

Ciao Paolo, grazie per avermi dato l’occasione di presentare ai vostri lettori il mio progetto editoriale.
Una parte della risposta al tuo quesito si trova nella domanda. Sono convinto che quella di genere sia una letteratura estremamente viva e accattivante, che reca con sé messaggi profondi e di grande attualità. È mio intento far cadere quel velo di pregiudizio che spesso la avviluppa e che non permette di approcciarla come Letteratura con la L maiuscola.
Inoltre i classici gotici o fantastici sono un ottimo modo per far innamorare della letteratura anche i più giovani, facendo loro scoprire i lati più oscuri e più intriganti di autori normalmente giudicati noiosi.

Ci puoi dire da cosa nasce il nome “Black Dog”, che tra l’altro troviamo azzeccatissimo?

Il nome “Black dog” è stato un parto della fervida immaginazione della mia compagna Angela. Il cane nero è un omaggio a quella che è una delle figure più misteriose e inquietanti del folklore inglese: creatura misteriosa, ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Inoltre vuole essere anche un omaggio al “mostro” che mi ha maggiormente colpito durante l’adolescenza: Il mastino dei Baskerville di “holmesiana” memoria.

Le prime due pubblicazioni, che usciranno a breve, sono il primo di una serie di volumi dedicati a racconti gotici e fantastici di autori italiani dell’Ottocento (raccolta tra l’altro curata dal nostro amato Dario Pontuale) e il romanzo di Jules Verne “Il padrone del mondo”. Sappiamo che entrambi i libri saranno illustrati, il che dimostra una grande cura anche dal punto di vista estetico. Vuoi parlarci nel dettaglio di queste due prime uscite?

Fin dall’inizio voglio presentare ai lettori storie accattivanti e belle da leggere che, però, siano anche accompagnate da messaggi forti e profondi.
L’antologia “Racconti italiani gotici e fantastici – Esperimenti” presenta novelle di nostri autori dell’Ottocento e dei primi del Novecento. Spazieremo da Italo Svevo a Luigi Capuana a Igino Ugo Tarchetti, per citare i più famosi, fino ad arrivare a narratori meno noti, ma non per questo, di minor livello, come Remigio Zena o Emilio De Marchi. Tutte le novelle di questo volume hanno un retroterra scientifico, da qui il sottotitolo “Esperimenti”, e narrano, con sorprendente attualità, il tema della invasività della scienza e di come possa diventare disumano un uso distorto della scienza e della medicina. Questo volume, inoltre, vuole anche presentare autori spesso vissuti dagli studenti come “impolverati” sotto una luce nuova e più viva. A mio avviso la rielaborazione della figura del vampiro fatta da Luigi Capuana è semplicemente superba.
Il Padrone del Mondo” è uno degli ultimi romanzi di Jules Verne. È forse il più amaro e pessimista scritto dal narratore francese e presenta la preoccupazione nutrita dall’autore circa la possibile deriva autoritaria in campo politico. Pensando che il libro è stato pubblicato nel 1905, sorprende la grande preveggenza del narratore.
Le illustrazioni sono un punto di forza. Voglio presentare libri belli da leggersi e belli a vedersi. Le illustrazioni sono affidate ad artisti affermati come Alex Raso o Valentina Biletta o a emergenti di indubbio valore come Elena Massola. Mi sono sempre piaciuti i libri illustrati e credo che per troppo tempo si siano usate le illustrazioni solo per la letteratura per ragazzi e che sia tornato il momento di utilizzarle, come accadeva una volta, anche per i libri adatti a tutte le età.
Se mi permetti vorrei spendere una parola anche per i curatori e i prefatori dei libri in uscita: oltre al già citato Dario Pontuale che ha curato l’antologia, “Il Padrone del Mondo” sarà accompagnato da una sagace postfazione del critico e poeta Donato di Stasi. Le altre due pubblicazioni primaverili vedranno contributi della giornalista ed esperta di letteratura americana Simona Zecchi e del filosofo Andrea Comincini.

Sul vostro sito leggiamo che grande importanza verrà data all’apporto femminile alla letteratura orrorifica: puoi darci qualche anticipazione in merito? E secondo te quanto è stato importante il contributo delle donne nel fantastico?

Il contributo femminile alla letteratura fantastica è stato fondamentale, basti pensare a Mary Shelley e a Ann Radcliffe. Queste, però, sono solamente le figure più note, ci sono poi altre grandissime narratrici di storie del soprannaturale o del fantastico che spesso hanno dovuto pubblicare sotto pseudonimo maschile, poiché tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento era ritenuto sconveniente che una donna scrivesse di certe cose. Proprio per questo la letteratura fantastica e di genere è stata un’arma importate a sostegno della causa dell’emancipazione femminile. Emblematica in questo senso è la figura di Mary Elenor Wilkins Freeman, una donna forte e libera, che ha fatto della letteratura il proprio lavoro e il proprio personale strumento di emancipazione. Di questa splendida autrice americana uscirà nel mese di giugno “Il vento nel cespuglio di rose e altre storie del soprannaturale”. Questa garbata, ma pungente antologia, sarà introdotta da un breve saggio di Simona Zecchi.

Questa è una domanda che solitamente facciamo agli autori, ma siamo curiosi di conoscere i gusti letterari anche degli editori: quali sono gli scrittori che maggiormente ti hanno influenzato e che ti hanno fatto balenare l’idea di trasformare la tua passione per la letteratura in una professione? E c’è qualche autore poco conosciuto che ti piacerebbe che i lettori italiani riscoprissero, magari proprio grazie a voi?

Mi sono sempre nutrito di narrativa gotica e fantastica: ho iniziato leggendo i “grandi nomi” come Edgar Allan Poe o Lovecraft, per allargare lo spettro e incrociare autori meno noti come William Hope Hodgson, Seabury Quinn o Clark Ashton Smith. Non ho mai trascurato, però, nemmeno gli autori nostrani e, una volta incontrata la “Scapigliatura” me ne sono innamorato. La mia passione per l’Ottocento italiano più oscuro mi ha portato a voler riproporre alcune “chicche” della nostra letteratura meno nota, ma sicuramente più viva.
Ho in mente molti progetti e se avrete la pazienza e la voglia di seguire le tracce lasciate dal cane nero vi imbatterete in gioielli inaspettati.

Oltre alla vostre pubblicazioni, sul sito della casa editrice è presente anche un blog chiamato Black Dog Magazine: ti va di parlarcene?

La tua domanda mi fa molto piacere. Il Magazine è uno spazio aperto in cui si possono trovare diverse suggestioni. Diverse voci, tutte autorevoli e competenti, accompagneranno il lettore in approfondimenti sulla letteratura di genere, vista anche da prospettive inaspettate. Ad esempio la Prof. Angelica Palumbo ha lanciato un sguardo “psicoanalitico” su due racconti di Poe e poi ha accompagnato il lettore in una appassionante riflessione sulle commistioni esistenti tra paesaggio, concetto di Sublime e Pittoresco nelle letteratura di genere vittoriana. A breve presenterò un bellissimo contributo di Andrea Comincini sulla paura.
Il Magazine è un luogo di riflessione, in cui trovare spunti che in un qualche modo si accostano alla letteratura e alle tematiche care alla mia casa editrice.

Per finire non può mancare la classica domanda sulle pubblicazioni future: quali sono i progetti di Black Dog per i prossimi mesi?

A fine maggio usciranno altri due titoli a cui sono molto affezionato. Uno l’ho già anticipato ed è “Il vento nel cespuglio di rose ed altre storie del soprannaturale” e l’altro è un romanzo fantasy di William Morris: “The House of the Wolfings”. Il grande architetto e socialista inglese è stato anche un grande conoscitore della mitologia norrena e, soprattutto, dei romanzi medievali islandesi che ha tradotto in inglese. Nella sua produzione letteraria fantastica l’eclettico Morris ha inserito in vicende storiche elementi soprannaturali e fantastici mutuati dalla mitologia norrena, creando storie estremamente affascinanti e raffinate. Nel romanzo che uscirà a breve, ad esempio, il substrato storico è dato dai primi scontri avvenuti tra l’esercito romano e i Goti sul confine danubiano. “The house of the Wolfings”, inoltre, ha un’altra particolarità: per ammissione dello stesso Tolkien è stato fonte di ispirazione per la creazione della sua Terra di Mezzo.

Grazie mille Marcello per la disponibilità!

Speriamo di avervi incuriosito: se volete saperne di più, potete seguire Black Dog Edizioni sulla loro pagina Facebook o visitare il loro sito. Siamo convinti che questa nuova casa editrice ci regalerà grandi soddisfazioni!

Mr. P.

Gli Eletti: piccoli classici da (ri)scoprire

Avevo già apprezzato lo scorso anno la collana di classici tascabiliGli eletti” di Alter Ego Edizioni, che si prefigge di riscoprire testi brevi e imprescindibili della letteratura mondiale, attraverso un lavoro di ricerca e analisi coadiuvato da Dario Pontuale, scrittore e critico ormai diventato di casa su “Blog con vista”. Questa volta la proposta di lettura è ricaduta su due autori francesi, che si sono rivelati una graditissima sorpresa.
Di  Guy de Maupassant avevo già scoperto le torbide atmosfere dei suoi bellissimi racconti soprannaturali e del crimine, ma ancora mi mancava la sua produzione drammatica, di cui ho avuto un piacevole assaggio con “Quel porco di Morin e L’abbandonato“, volumetto arricchito dalla prefazione di Simone Gambacorta.
Devo invece ammettere la mia ignoranza riguardo a Honoré de Balzac, gigante letterario di cui non avevo letto nulla prima di imbattermi ne “Il capolavoro sconosciuto“, anch’esso impreziosito dalla prefazione di Patrizia Angelozzi.

Guy de Maupassant – Quel porco di Morin e L’abbandonato
I due racconti di Maupassant qui raccolti affrontano entrambi lo scomodo tema della verità e della menzogna e di come entrambi gli opposti di una stessa medaglia, che altro non è che la realtà, vengono rappresentati.
In “Quel porco di Morin” viene messa in scena la vicenda del mercante di provincia Morin, che a causa di un gesto avventato, generato a sua volta da una goffa illusione, vede nel giro di pochi giorni crollargli addosso l’intera esistenza. Una rispettabile reputazione infangata in un attimo da uno stupido e avventato episodio, che marchierà in modo indelebile il maldestro commerciante, tanto da chiedere l’aiuto del narratore, un giornalista amico di Morin. Proprio lui narrerà la storia a suo modo e secondo il suo punto di vista, facendo comprendere al lettore come la realtà possa essere manipolata, anche involontariamente, a seconda di chi la vive e la racconta. Non conosceremo mai la storia con gli occhi di Morin ma dovremo accontentarci di una verità che lascia più di qualche dubbio.
L’abbandonato” è un racconto di menzogne e di sotterfugi, in cui una madre a cui è stato strappato dalle braccia il figlio appena nato, perché frutto di un adulterio, decide di ritrovarlo dopo quarant’anni. Ma non sempre affrontare la realtà per smascherare l’inganno si rivela la scelta più giusta. Un sentimento di vergogna si impadronirà delle donna, che uscirà miseramente sconfitta dal suo tentativo di ridare dignità alla propria vita.
Due racconti dolorosi e intrisi di un’angoscia sottile, che ci mettono di fronte, nudi e senza protezione, alla crudezza delle nostre esistenze.
Voto: 4/5

Honoré de Balzac – Il capolavoro sconosciuto
La novella di Balzac “Il capolavoro sconosciuto” è un autentico atto d’amore verso l’arte, qui rappresentata attraverso la pittura, ma estendibile a qualsiasi tentativo umano di ricerca del bello e della perfezione. Proprio la ricerca di una perfeziona assoluta è la chimera che accompagna le vicende narrate da Balzac.
Protagonista è un giovane Nicolas Poussin, pittore realmente vissuto in Francia a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, e la sua smania di diventare un vero artista, grazie anche all’incontro che sta per avere con Frans Pourbus (altro pittore preso a prestito dalla storia), che Poussin considera un vero e proprio maestro. Nell’appartamento di Pourbus, il giovane aspirante pittore farà la conoscenza di un enigmatico vecchio che, stando ai suoi discorsi, sembra incarnare l’essenza stessa dell’arte pittorica. Tanto che, criticando i capolavori di Pourbus, millanterà un fantomatico ritratto di donna a cui starebbe lavorando da anni, alla ricerca della perfezione universale. Proprio questa odissea personale verso l’eccellenza assoluta, condurrà il racconto verso un epilogo dalle tinte fosche e inquietanti.
Balzac sembra quasi volerci dire che la natura è perfetta così come si presenta ai nostri occhi, proprio perché gode di una straordinaria imperfezione e che la nostra ambizione di apparire perfetti, sia agli altri che a noi stessi, è soltanto un desiderio effimero, specchio della nostra fragilità e insicurezza.
Voto: 3,5/5

Proponendoci letture veloci ma mai banali, anche questa volta i ragazzi di Alter Ego Edizioni si sono dimostrati ottimi avventurieri alla ricerca di classici dimenticati!

Mr. P.

Nasce la nuova rivista letteraria “Passaporto Nansen”: intervista a Massimiliano Timpano

Negli ultimi anni, grazie anche alla digitalizzazione, abbiamo assistito a un ritorno in grande stile delle riviste letterarie. Da sempre ponte di lancio per autori esordienti, ma anche banco di prova per scrittori già affermati, le riviste letterarie sono una parte fondamentale del nostro patrimonio culturale.
Oggi vorrei presentarvi una rivista neonata ma che sta già andando controcorrente (se non altro per il fatto che verrà stampata unicamente su carta, scelta ardita che trova il mio completo appoggio). Si tratta di “Passaporto Nansen”, rivista semestrale dedicata alla letteratura, che verrà distribuita in librerie indipendenti e biblioteche comunali al costo di € 2,00.
A tale proposito, abbiamo il grandissimo piacere di avere ospite su Blog con vista, Massimiliano Timpano, autore Bompiani e tra i curatori di “Passaporto Nansen”.

Ciao Massimiliano e grazie per essere qui con noi. Partiamo subito con una domanda classica: com’è nata “Passaporto Nansen”?

La rivista nasce dall’entusiasmo e dalla volontà di continuare a interrogare il passato per avere delle risposte al nostro presente.

So che fanno parte della vostra redazione penne autorevoli della narrativa e della saggistica italiana. Puoi presentarci in breve i tuoi compagni di viaggio?

Gli iniziatori e i primi capitani coraggiosi sono Paolo Di Paolo, scrittore e giornalista, Dario Pontuale, scrittore e critico militante, Angelo Deiana, penna giovane e promettente a cui si è aggiunta di recente Elisa Toma.

Il nome scelto per la rivista è piuttosto curioso e si rifà all’esploratore norvegese Federico Nansen, vincitore del Nobel per la Pace nel 1922 grazie appunto al “Passaporto Nansen”, documento destinato a proteggere gli apolidi e riconosciuto a livello internazionale da 52 paesi. Come mai la scelta di questo nome così originale?

La letteratura, io credo, non è un posto confortevole e comodo, un cuscino caldo e gualcito: ha a che fare, per mutuare le parole di Kafka, con continui assalti alle frontiere, una ricerca continua del proprio posto nel mondo.

Ora entriamo nel vivo della rivista: cosa dobbiamo aspettarci di trovare dentro “Passaporto Nansen”?

Una polifonia: penne diverse che rispondendo a interrogativi e intuizioni di monumenti del passato, sollevano altri interrogativi e dubbi.

So che il primo numero, presentato in anteprima il 23 marzo al Teatro Argentina di Roma, sarà dedicato a Pier Paolo Pasolini, grazie anche al patrocinio del “Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia”. Come mai la scelta di iniziare la vostra avventura concentrandovi su uno dei maggiori intellettuali del XX secolo? Puoi anticiparci qualcosa sulla prima uscita di “Passaporto Nansen”?

Per la forza e l’attualità del pensiero di Pier Paolo Pasolini. In particolare, questo primo numero sarà dedicato a una domanda che Pasolini stesso pose nel 1971: “Come si riempie un vuoto letterario?”. Pensa a tutte le possibili implicazioni di questo “vuoto”: politiche, storiche, narratologiche… Nel primo numero di Passaporto Nansen ci sono. Già adesso, mentre ti sto rispondendo, vado riflettendo sull’idea di pieno e vuoto nelle arti figurative o ancora nel vuoto, nell’ambito più strettamente narrativo, in relazione ai personaggi relativi e quindi concavi che percorrono la propria storia romanzesca tentando di riempire quella mancanza.

Come scegliete i contributi che andranno a formare la rivista: testi, immagini, fotografie?

La redazione sarà fluida e aperta a quanti vorranno contribuire al confronto. In questo primo numero, come è ovvio, abbiamo chiesto alle nostre conoscenze più ristrette ma l’idea è di allargare sempre di più il cerchio.

Ultima domanda: la rivista verrà distribuita in formato cartaceo in librerie indipendenti e biblioteche. Perché la scelta di non adottare il formato digitale, da affiancare alla carta?

Non per vocazione alla sconfitta: siamo consapevoli dell’importanza del digitale nella comunicazione. Tuttavia, per quanto mi riguarda, la carta continua a essere un rifugio, una coperta di Linus. La rivista come hai già detto avrà un costo di due euro e la metà che ci tornerà sarà impiegata per spedire la rivista agli amici librai in trincea nelle varie parti d’Italia e per pagare le spese di stampa per il numero successivo. E se proprio andrà male, come novelli Hanta, delle copie stampate ne faremo parallelepipedi sigillati e armoniosi, trincando boccali di birra Urquell…

Grazie mille per il tuo tempo, Massimiliano. Vi ricordo che per avere notizie aggiornate sull’attività editoriale di “Passaporto Nansen”, potete seguire le pagine Facebook e Twitter della rivista.

Mr. P.

Intervista a Dario Pontuale

Oggi abbiamo l’immenso piacere di avere ospite un autore che noi di Blog con vista amiamo particolarmente. Si tratta di Dario Pontuale, scrittore, saggista e curatore, di cui abbiamo letto, apprezzato e recensito saggi, romanzi e racconti. Anziché introdurvelo, vi lascerei alle sue stesse parole di presentazione, che ci siamo permessi di rubare dal suo sito.

«Scrivo romanzi, “faccio” lo scrittore, almeno ci provo. Certamente tento di farlo bene, con cura e dedizione, come in fondo dovrebbe essere sempre. Non “faccio”, però, soltanto questo. Dalla polvere di alti scaffali, dagli angoli bui di magazzini abbandonati inseguo capolavori dimenticati, assopiti sotto la coltre del tempo, rimasti soffocati dalle frenetiche ansie editoriali. Inseguo quelli che normalmente chiamano CLASSICI. Provo ad offrirgli nuova vita, tento di salvarli dall’oblio convinto che abbiano subìto un’ingiusta fine, sicuro che non abbiano resistito all’incuria degli anni per puro caso, bensì perché custodi di un magico sapere.»

Per chi volesse approfondire la conoscenza dei suoi lavori, potete trovare Dario Pontuale su Facebook e sul suo sito ufficiale.
Ma basta con i convenevoli e iniziamo la nostra chiacchierata!

Ciao Dario e grazie mille per esserti reso disponibile per la nostra piccola intervista.
Come dicevamo prima, sei scrittore di narrativa, saggista, curatore di classici e ovviamente lettore. Cosa ti senti maggiormente, tra tutto ciò?

So già che può risultare banale dirlo, ma prima di tutto mi sento lettore. Nessun’altra categoria potrebbe esistere se prima di tutto non venisse la lettura, il piacere pieno di leggere. Si deve restare lettori prima di ogni altra cosa, altrimenti il gioco funziona male.

Esplorando il tuo lato da scrittore, non può mancare la domanda più classica di tutte. Quali sono gli autori che hanno influenzato la tua poetica e il tuo modo di scrivere?

Non saprei, credo che la scrittura personale sia una lenta stratificazione, come un velo sopra a un altro velo, ognuno possiede il proprio distinguibile colore, ma se sovrapposti assumono una tonalità diversa da tutte. Ecco cos’è per me il personale stile di scrittura, cioè la somma di quei maestri che più restano celati e più agiscono. Se comunque dovessi rispondere per forza e a bruciapelo, citerei autori senza criterio, ma a me cari: Svevo, Conrad, Bukowski, Pasolini, Calvino, Buzzati, Stevenson, Salgari, Flaubert, Tolstoj, Hemingway, Ginzburg. Come abbiano influito non so, ma questi penso siano rimasti in me.
Ps: lo so, mancano le scrittrici, non c’è nessuna preclusione. Ho soltanto iniziato tardi a leggerle, le sto assimilando, presto vi stupirò.

Nella vita sei riuscito a far diventare la tua più grande passione un lavoro. Quando è stato il momento in cui hai davvero capito che l’amore per i libri si sarebbe trasformato in una professione?

Questo, sono sincero, non credo ancora di averlo capito. Ogni volta che esce un Classico o un mio libro, resto sempre un po’ sorpreso, quasi stupito, ma non per falsa modestia. Semplicemente perché è un momento che possiede sempre un aspetto magico, quello della trasmissione della parola, soprattutto in forma scritta. Lo percepii quando stampai la tesi, l’ho percepito allo stesso modo quanto è uscito l’ultimo libro. Un momento netto di passaggio non c’è mai stato e forse è meglio così.

Nell’ottimo saggio “Ciak si legge” presenti una serie di classici, alcuni anche non così noti, da cui è stato tratto un film. Qui ci sorge una duplice domanda: potresti consigliarci tre classici “dimenticati”, a cui hai lavorato oppure ti piacerebbe lavorare in futuro?

Sempre rispondendo a bruciapelo dico che per i Classici dimenticai a cui ho lavorato suggerisco: “Non intendo tacere” di Zola, “Il salvataggio” di Conrad e “Racconto di uno sconosciuto” di Checov. Autori, invece, su cui mi piacerebbe scrivere sono: Pavese, Bianciardi, Joyce.

E ancora: qual è il tuo rapporto con il cinema?

Amo il cinema perché racconta storie un po’ come fa la lettura. Se ci penso bene, sono uno al quale piace farsi raccontare delle storie. Un piacevole vizio antico, tutto qui.

So che non  è mai facile parlare dei propri lavori, ma c’è un tuo libro a cui sei più affezionato? E perché?

No, no a questa non rispondo. Troppo facile come tranello e poi, in fondo, non lo so. Quello di cui sono sicuro è che faccio una netta distinzione tra il mio lavoro di critico e quello di romanziere. Voglio bene a tutti i libri, ma li considero buoni cugini tra loro, non fratelli.

Cosa ti sentiresti di consigliare a un autore esordiente?

Di leggere e qui mi ripeto. Senza la lettura, la scrittura resta una farfalla con una sola ala. Precipita presto.

E invece da cosa consiglieresti di iniziare, a un lettore che non ha ancora scoperto la potenza e la magia dei classici?

Gli consiglierei di seguire la pancia. Prenda qualsiasi libro e cominci da dove vuole, dove andrà a finire spetterà a lui deciderlo. A me, tutta questa libertà d’azione, già sembra un ottimo incentivo.

E per finire non può mancare questa domanda: a cosa stai lavorando attualmente? Potresti anticiparci qualcosa sulle tue prossime uscite?

Sto lavorando a un saggio su Frankenstein che nel 2018 compie duecento anni. Sto scrivendo una prefazione per uno Stevenson dove ci sarà molto mare e per un Melville nel quale ci sarà parecchio oceano. Insomma, si scrive…umidi.

Grazie mille Dario! È stato un piacere averti ospite su Blog con vista!

Grazie a voi per l’intervista e per tutta la sana passione trasmessa.

Mr. P.

I migliori dischi del 2017

Ci siamo appena lasciati alle spalle il 2017 ed è giunto quindi il momento di dare un ultimo sguardo indietro, questa volta non per quanto riguarda le letture ma dal punto di vista musicale. L’anno appena trascorso si è rivelato ricco di uscite discografiche particolarmente interessanti. Ho scoperto nuovi artisti, le cui note sono entrate dritte nel mio cuore, e ci sono stati grandi ritorni di band che amo. Ho stilato una mia personalissima top 20, con un focus particolare sulle prime dieci posizioni. Tra rivelazioni, colonne sonore e grandi ritorni, è giunto il momento di iniziare!

10. DARDUST – SLOW IS (BALLADS FOR PIANO AND STRING QUARTET LOST IN SPACE)

Dopo i primi due dischi di una trilogia che si concluderà nei prossimi mesi, Dardust (all’anagrafe Dario Faini), sforna uno stupendo lavoro di rivisitazione di alcuni pezzi che compongono i suoi primi due album. Messe da parte le derive elettroniche di “Birth”, il compositore di Ascoli Piceno riarrangia una manciata di vecchi brani per piano e quintetto d’archi. Il risultato è un crescendo d’emozioni, in cui la matrice intimistica e malinconica dell’esordio “7” torna a fare da padrona, regalando picchi di autentico lirismo. Completano il disco due struggenti inediti, che spero siano il sintomo della piega che prenderà in futuro la musica di Dardust, che ho sempre maggiormente apprezzato quando il pianoforte prende il sopravvento.
Best track: Gravity

9. DEPECHE MODE – SPIRIT

Il 2017 ha visto anche il ritorno dei Depeche Mode con “Spirit”: sicuramente un album non perfetto ma pieno di carattere e chiara testimonianza di quanto i Depeche Mode si possano permettere di miscelare elettronica, sentimento e testi graffianti senza mai risultare banali. L’apertura è fulminante con “Going backwards”, per chi scrive tra i migliori pezzi dell’anno, per proseguire poi con l’incalzante “Where’s the revolution?” e l’elettronico delirio di “Scum”, non dimenticando le aperture melodiche come “The worst crime” e “Cover me”. Non manca ovviamente il cantato di Martin che dà, come sempre, ottime prove nella cinematografica “Eternal” e nella eterea “Fail”. Il terzetto inglese continua a non sbagliare un colpo.
Best track: Going backwards

8. WILSEN – I GO MISSING IN MY SLEEP

Ho conosciuto i Wilsen nel 2016 grazie alla stupenda “Centipede“, traccia d’apertura del disco, e  aspettavo con molta curiosità il loro esordio ufficiale, se si esclude il primo album autoprodotto. L’attesa è stata ben ripagata da un lavoro intenso e raffinato. Chitarre acustiche, atmosfere rarefatte e testi intimistici sono gli ingredienti per questo “I go missing in my sleep”. Memore dei primi Daughter, il terzetto di New York ci regala grandi pezzi come la sognante “Heavy steps”, l’eleganza malinconica di “Emperor” o l’ottimo singolo “Garden”. Ma il meglio i Wilsen ce lo riservano nel finale con la dolcezza della bucolica “Final” e la cupa scia strumentale di “Told you”. Un esordio promosso a pieni voti.
Best track: Centipede

7. DAUGHTER – MUSIC FROM BEFORE THE STORM

I Daughter, che nel 2016 avevano dato alle stampe il mio disco dell’anno, si riaffacciano sulle scene anche nel 2017. Questa volta però componendo la colonna sonora del videogioco “Life is strange”. Musiche altamente immaginifiche (come ogni buona colonna sonora che si rispetti dovrebbe essere) si alternano a pezzi più canonici, in cui svetta la stupenda voce di Elena Tonra. Atmosfere rarefatte e crescendo strumentali (l’opener “Glass” o la magnifica “Witches”) vanno a braccetto con canzoni dal piglio decisamente più rock e sperimentale (“Departure” e “Dreams of William”). Non mancano però i classici pezzi alla Daughter, come le due perle del disco “All I wanted” e “A hole in the heart”. Anche con i vincoli imposti dalle colonne sonore, i Daughter hanno saputo tirare fuori un grande lavoro.
Best track: A hole in the heart

6.  ÓLAFUR ARNALDS – BROADCHURCH: THE FINAL CHAPTER

Altra colonna sonora: questa volta si tratta del bravissimo musicista islandese Ólafur Arnalds e delle musiche composte per la serie tv “Broadchurch”, per il sottoscritto tra i migliori telefilm degli ultimi anni. Arnalds si era già occupato di musicare le prime due stagioni, ponendo il suo sigillo musicale anche su questo terzo e ultimo capitolo. In questo caso, almeno per quanto mi riguarda, musica e immagini vanno a braccetto. La splendida colonna sonora, a volte eterea, altre cupa, altre intrisa di una struggente mestizia, è perfetta per accompagnare la malinconia che si respira durante tutta la serie. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi di colpo tra le scogliere di “Broadchurch”. Il mio consiglio quindi è quello di guardare prima il telefilm, per poi assaporare al meglio le musiche: non ve ne pentirete.
Best track: The final chapter

5. STARSAILOR – ALL THIS LIFE

L’anno appena passato ha visto anche il ritorno sulle scene musicali degli Starsailor, una delle band che hanno segnato la mia adolescenza e che mancavano con un album di inediti dal 2009. La formula del quartetto inglese è sempre la stessa: chitarre acustiche, la voce cristallina di James Walsh e testi introspettivi. Non mancano però le sortite in territori più rock come il bellissimo primo singolo “Listen to your heart” o l’energia di “Best of me” o gli azzardi sperimentali di “Caught in the middle” o di “Fia (fuck it all)”, con lo stupendo tappeto strumentale finale. Ma è in episodi che richiamano i primi Starsailor che i nostri sanno prenderci il cuore in mano senza esitazioni, su tutti “Sunday best” e  “Break the cycle”, autentici gioiellini del disco. Un ritorno che convince.
Best track: Sunday best

4. ELBOW – LITTLE FICTIONS

Poche band sanno essere raffinate e delicate come gli Elbow. Lo conferma anche l’ultimo lavoro “Little fictions”, che mette in chiaro fin da subito il fatto che ci troviamo davanti a un grande disco. L’apertura è infatti affidata a “Magnificent (she says)”, che con i suoi archi, per il sottoscritto, è forse il miglior pezzo del 2017. Ma “Little fictions” è pieno di sorprese: dalle percussioni di “Gentle storm” agli oltre otto minuti della sperimentale title track, passando per il pop luminoso di “All disco”. Una nuova prova di maturità per la band inglese, che si dimostra ancora una volta costruttrice di canzoni perfette.
Best track: Magnificent (she says)

3. GIULIA’S MOTHER – HERE

Il duo piemontese è stata la mia rivelazione musicale del 2016 con lo stupendo “Truth”. Il 2017 li ha visti tornare con “Here”, un piccolo capolavoro ancora più bello dell’esordio. Chitarra acustica, batteria e la bella voce di Andrea Baileni gli ingredienti, ma con una maggiore consapevolezza nei propri mezzi e un pizzico di sperimentazione in più. Così, a ballate classiche dal sapore malinconico come la struggente “Memory” o la delicata “Closeness”, si alternano i sei minuti di cavalcata di “Consciousness”, le atmosfere desertiche del magnifico primo singolo “Past” o ancora il viaggio onirico di “Who are you?”. Graditissime sorprese sono “Oltre”, il primo pezzo in italiano della band, che dimostra di cavarsela benissimo anche con la nostra lingua, e la cover dei Beatles “Long long long”. Un secondo disco folgorante: dei Giulia’s Mother state certi che ne sentiremo parlare ancora a lungo.
Best track: Consciousness

2. AMBER RUN – FOR A MOMENT I WAS LOST

Non conoscevo gli Amber Run ma ho capito che mi sarei innamorato del loro secondo disco non appeni ho letto il titolo. E così è stato: “For a moment I was lost” è stata un’autentica rivelazione. Premetto che non si tratta di nulla di innovativo o di non ancora sentito, ma il quartetto di Nottingham è riuscito a sfornare una manciata di canzoni incredibili. Si passa dal pop malinconico di “Fickle game”, al rock nervoso di “Perfect”, all’oscurità elettrica di “Dark bloom”. Ma gli Amber Run sanno affascinarci anche con il crescendo della tormentata “Wastelands”, l’indie rock praticamente perfetto di “Stranger” o il piano rarefatto di “Are you home?”. Semplicità ed emozionalità vanno a braccetto in un disco che farà la felicità degli amanti di band come gli Snow Patrol, i Doves o i primi Coldplay.
Best track: Dark bloom

1. THE NATIONAL – SLEEP WELL BEAST

Sul gradino più alto del podio non potevano che esserci loro. I The National tornano con un piccolo capolavoro in cui hanno abbandonato in parte i territori conosciuti sviluppati con gli ultimi dischi, per addentrarsi in sonorità più ardite e sperimentali. Già il primo singolo, l’ottima “The system only dreams in total darkness”, aveva messo in chiaro che non ci saremmo trovati di fronte ai soliti National. Impressione confermata dal rock sgangherato di “Turtleneck”, dal tappeto elettronico della parlata “Walk it back” o dall’oscurità impenetrabile della title track. Non mancano però episodi 100% National come la fantastica “Day I die”, la struggente malinconia di “Guilty party” o la nostalgica “Carin at the liquor store”. Un disco perfetto, in cui tradizione e innovazione (riferendoci sempre al passato musicale della band) si mischiano in maniera esemplare. Un disco che ci accompagnerà ancora a lungo nei prossimi mesi.
Best track: Guilty party

Ed eccovi la seconda parte della classifica, con le posizioni dalla 11 alla 20 e il consiglio della best track per ogni disco:

11. FEEDER – ARROW
Best track: Veins

12. SAMUEL – IL CODICE DELLA BELLEZZA
Best track: Qualcosa

13. VANCOUVER SLEEP CLINIC – REVIVAL
Best track: Someone to stay

14. KOMMODE – ANALOG DANCE MUSIC
Best track: Captain of your sinking ship

15. SOHN – RENNEN
Best track: Rennen

16. CHARLIE FINK – COVER MY TRACKS
Best track: Someone above me tonight

17. COLDPLAY – KALEIDOSCOPE EP
Best track: A L I E N S

18. THE SHINS – HEARTWORMS
Best track: So now what

19. MEW – VISUALS
Best track: The wake of your life

20. ANOHNI – PARADISE EP
Best track: Paradise

E il vostro 2017 musicale com’è stato? Quali sono i dischi che vi hanno accompagnato durante i mesi appena trascorsi? Fatecelo sapere!

Mr. P.

Abissi: la prima raccolta di racconti di Paolo Cabutto alias Mr. P.

È con grande gioia e soddisfazione che vi presento “Abissi”, il mio esordio letterario pubblicato da Talos Edizioni, casa editrice free e dall’animo fieramente indipendente.
Perché oltre a essere da sempre un lettore vorace e, da un paio d’anni, un blogger che si diletta a parlare di libri, ho scoperto che, trascorrere gran parte del mio tempo libero con il naso infilato tra le pagine, mi ha trasmesso una sana passione per la scrittura.

Cos’è “Abissi”?
È una raccolta di tredici racconti in bilico tra horror, thriller e noir. Una collezione d’istantanee cariche d’inquietudine in cui il lettore si potrà imbattere in un vicino di casa che ci conosce meglio di quanto immaginiamo, in macabri incontri in un cinema di periferia e in una stazione della metro che sembra sussurrare il nostro nome. O ancora in una tragedia shakespeariana che diventa realtà e nell’ultima giornata di lavoro di un killer professionista.  Ma questo è solo un pizzico di quello che troverete in “Abissi”.

Dove si può acquistare?
Oltre che sul sito della casa editrice, il libro è ordinabile in tutte le librerie e disponibile su AmazonIbsFeltrinelliMondadori e negli altri principali store online.

Perché hai scelto la forma narrativa del racconto?
Semplicemente perché adoro le raccolte di racconti. Senza nulla togliere ai romanzi, che continuano a essere una delle portate principali della mia dieta da lettore, ma un buon racconto è come una caramella: appena terminato non puoi resistere senza passare a quello successivo. Una buona storia colpisce nel segno in poche pagine, lasciandoti stordito e affamato di nuove avventure. Questo deve saper fare ogni raccolta che si rispetti. Spero, nel mio piccolo, di esserci riuscito.

Perché proprio l’horror?
Perché i racconti del terrore sono stati il mio primo amore letterario, grazie a una piccola e preziosa antologia di storie di Poe, Maupassant, Conan Doyle e altri maestri della letteratura nera. Bene o male fantasmi, strane creature, assassini o incubi della mente hanno sempre accompagnato il mio percorso letterario fino alla creazione di “Abissi”.

Sì, ok, tutto molto bello. Ma Paolo Cabutto come scrive?
Ho pensato anche alla vostra curiosità con qualche piccolo estratto. Buona lettura!

Pennellate d’inquietudine
«Quando rientrai a casa presi con estrema cura la tela e la riposi nello studio, mantenendola coperta per evitare d’incrociare quello sguardo agghiacciante che avrebbe di certo inquinato il dolce ricordo di uno spensierato pomeriggio.
Un uomo, un dipinto. Una piacevole compagnia, uno sguardo atroce.
Un volto e due entità che si stavano fronteggiando in singolar tenzone, a colpi d’incontrollabile eccitazione e insano turbamento, nella sempre più confusa e stordita arena della mia psiche.»

Prima visione
«“Tutto questo non può essere reale!” pensò rifugiandosi nella vana convinzione che stesse vivendo l’angoscia di un banale incubo.
Tentò di urlare nella speranza di risvegliarsi sudato, impaurito, ma sano e salvo nell’abitacolo della sua auto. Però, come era accaduto nella sequenza d’immagini che lo avevano fatto fuggire dal cinema a gambe levate, nessun suono gli uscì dalla bocca. Cercò di divincolarsi, ma era immobilizzato.
Uno stridente cigolio accentuò il panico da cui era ormai del tutto avvinto. I suoi occhi abituati all’oscurità vennero feriti da un improvviso fascio di luce, costringendolo a ritrarre i muscoli del viso in una grottesca smorfia di fastidio. Qualcuno era entrato nella stanza e Davide sapeva con certezza chi fosse.»

Incubi di mezzanotte
«Intanto il coltello scintillò in alto e, come un esiziale raggio di morte baciato dalla luna, calò con forza sulla vittima, costretta contro la parete.
Il disgraziato emise un rantolo soffocato e un fiume di sangue iniziò a sgorgargli dalla gola. Dopo pochi secondi di straziante agonia, l’uomo si accasciò a terra senza vita.
L’assassino emise un grugnito animalesco e si voltò di scatto, puntando addosso a Francesco un paio d’occhi carichi di follia omicida. Col coltello stretto in mano avanzò a piccoli passi verso l’imbocco del vicolo, fino a quando il viso venne illuminato dalla fioca luce di un lampione. Il suo volto, sfigurato da una profonda cicatrice che lo attraversava in diagonale e che gli conferiva un aspetto mostruoso, si fregiava di un sorriso che incarnava l’essenza stessa dell’incubo.»

Ultima fermata
«Pensa, rimugina, cammina e intanto il tempo trascorre senza che nessun treno transiti su quei binari. Nella sua mente comincia a maturare l’idea che la metropolitana lo abbia attirato di proposito in quella stazione maledetta.
Gli pare addirittura che i muri siano vivi al punto tale che per un istante ha la netta percezione di sentirli ansimare. Ma non dà seguito a quell’assurdità e si aggrappa a un appiglio razionale.
“Si sa che l’aria viziata e il freddo pungente possono confondere la mente di un uomo.”
Eppure sente come se qualcosa di malvagio, un’occulta energia dal potere mortale, corra lungo quei binari su cui, di contro, gli attesi convogli continuano a latitare.»

Mr. P.

Alter Ego Edizioni: classico e contemporaneo

Conoscevo la Alter Ego Edizioni principalmente come ottima casa editrice di autori emergenti ma ero all’oscuro della loro bellissima collana di classici tascabili “Gli Eletti”, di cui mi è stato proposto di leggere le ultime due uscite, consistenti nella riscoperta di racconti ingiustamente dimenticati di Luigi Capuana (“Il drago e Il tesoro nascosto” con prefazione di Cristina Ubaldini) e Jack London (“Finis e La fine della storia” con prefazione di Donato Di Stasi). Curatore della collana è Dario Pountale, uno che di classici se ne intende e che ho avuto modo di apprezzare nei mesi scorsi come autore con l’appassionante lettura dei suoi tre romanzi e che è uscito da poco, sempre per Alter Ego, con il gustoso racconto “I dannati della Saint George”, un piccolo tributo ai grandi classici d’avventura. Una triplice esperienza di lettura che mi ha accompagnato durante gli ultimi giorni di questa torrida estate.

Luigi Capuana – Il drago e Il tesoro nascosto
Dello scrittore siciliano, tra i fondatori insieme a Verga del Verismo, ci vengono proposti il racconto “Il drago”, che ricalca fortemente tale corrente letteraria e la fiaba “Il tesoro nascosto“, che invece potremmo annoverare nel filone della letteratura fantastica.
Protagonista de “Il drago” è Don Paolo Drago, anziano agricoltore ormai disilluso dopo la perdita prematura della moglie e delle due figlie, sua unica ragione di vita. Drago però si interessa alle sorti di due sventurate orfanelle, costrette a mendicare da una zia senza cuore, a cui il vecchio ha appioppato l’appellativo di “strega”, giocando così per tutto il racconto sulla conflittualità ironica tra due esseri fantastici come un drago e una strega. Impietosito dalle continue richieste di elemosina delle due bambine, Don Paolo decide di prenderle con sé, in un disperato tentativo di far rivivere le sue povere figliole, tanto da ribattezzare le fanciulle con il loro nome. Con il protagonista combattuto tra la tormentata consapevolezza di vivere un inganno e il bisogno sempre più forte di colmare il proprio vuoto interiore con il lucido delirio in cui si è gettato, la novella ci insegna che mentire a sé stessi nel tentativo vano di cambiare la propria vita, possa portare una serenità illusoria, ma che il rimorso e la spietata coscienza della realtà siano sempre in agguato dietro l’angolo.
Il tesoro nascosto” ha invece il sapore della favola, in cui il tesoro sepolto in una caverna può essere disseppellito, a detta del vecchio agricoltore che lo custodisce, soltanto da un uomo senza braccia. Così, tra uno stolto furfante che si fa amputare le braccia per arraffare l’oro e un malinconico ragazzo privo degli arti fin dalla nascita, la fiaba arriva al classico e confortante lieto fine. Una storia che fa delle braccia l’immagine simbolica di ciò che diamo per scontato e che in realtà vale infinite volte di più di qualsiasi ricchezza materiale.
Voto: 3,5/5

Jack London – Finis: una tragedia nel lontano nord-ovest e La fine della storia
Cambiamo completamente registro con i due racconti di Jack London, ambientati entrambi nell’artico canadese, riconducibili a quel filone avventuroso di cui lo stesso London è stato maestro indiscusso.
Finis” narra le peripezie e l’estenuante attesa di Morganson, cercatore d’oro caduto in disgrazia, divorato dalla fame e dal desiderio bruciante di raggiungere il sud. Un racconto crudele e spietato sull’istinto di sopravvivenza più bieco, in cui ogni parvenza di umanità e moralità viene spazzata via dalla necessità di agguantare la vita che sta lentamente sfuggendo di mano, tra infruttuosi appostamenti in attesa del passaggio di un qualsiasi essere umano e il freddo glaciale dell’inverno canadese. Costretto a razionare il cibo e le energie, Morganson sprofonderà sempre più in vortice di negatività e ombra.
La fine della storia” è invece un racconto di redenzione, quasi di catarsi spirituale. Protagonista è Linday, medico che non esercita più la professione ma che viene chiamato per curare le violente ferite subite da un cercatore d’oro dall’attacco di una pantera. Dopo un viaggio disseminato di ostacoli, Linday si troverà di fronte a una dolorosa sorpresa, riguardante l’identità del misterioso malato. Il medico dovrà mettere da parte ogni risentimento, in un percorso di cura del corpo devastato del povero paziente che si tramuta in guarigione dell’anima, cicatrizzando vecchie ferite e dando nuova linfa al suo spirito martoriato.
Due racconti che sanno trasportare il lettore nella solitudine di lande desolate, in una truce, ma nello stesso tempo appassionante, ricerca di sé stessi.
Voto: 4,5/5

Dario Pontuale – I dannati della Saint George
Dopo due classici riscoperti, per terminare in bellezza è la volta di un autore contemporaneo che ha scritto un racconto dal retrogusto classico. Questo però non implica assolutamente scopiazzature ma una giusta dose di ispirazione, che ha permesso a Dario Pontuale di fare propria la lezione di maestri immortali del racconto d’avventura come Robert Louis Stevenson e Joseph Conrad, rielaborandola nel suo personalissimo e riconoscibile stile. Narratore e protagonista della storia è il custode portuale Libero Gori, che ci racconta del suo formidabile incontro con il corsaro Black Sam e con i dannati della Saint George, veliero affondato con l’intero equipaggio nel 1761. A metà strada tra racconto di mare e storia di fantasmi (di cui lo stesso Stevenson è stato egregio autore), lo scritto di Pontuale sa rapire il lettore, catapultandolo in una Livorno di inizio Novecento, oscura e inquietante, in cui il tema del viaggio, tanto caro allo scrittore, viene contaminato dal fantastico e dal perturbante. Impreziosiscono il tutto le belle illustrazioni interne di Doriano Strologo. Una lettura agile ed entusiasmante, che ci narra un’avventura dal gusto esotico e senza tempo, che sa regalare al lettore un piacevolissimo momento d’evasione.
Voto: 4/5

Mr. P.

Intervista ad Alberto Chimal

Oggi abbiamo il grande piacere e onore di avere ospite sul nostro blog lo scrittore messicano Alberto Chimal, creatore di una vera e propria “letteratura dell’immaginazione”, che ha saputo racchiudere dagli anni Novanta a oggi in numerose raccolte di racconti, romanzi e saggi.
Dopo essere stato tradotto in diverse lingue, finalmente la sua opera è giunta quest’anno anche nel nostro paese, grazie a un progetto di crowdfunding organizzato da Edizioni Arcoiris, casa editrice che con la sua collana “Gli Eccentrici”, ha già portato in Italia molteplici opere letterarie di qualità di matrice sudamericana.
A febbraio è infatti stata pubblicata la raccolta di racconti “Nove”, contenente nove storie che pescano a piene mani nell’universo visionario e allucinato di Chimal. Per chi volesse approfondire la sua opera, questa è la nostra recensione.
Ma bando alle ciance e diamo la parola direttamente a questo grande autore!

Ciao Alberto e grazie davvero per esserti reso disponibile a rispondere alle nostre domande. Iniziamo subito con una domanda classica, ma fondamentale per comprendere il background letterario di uno scrittore: quali sono stati gli autori che maggiormente hanno influenzato il tuo modo di scrivere e a cui ti sei ispirato per creare le tue storie?

La maggior parte di loro sono autori che ho letto molto presto, durante l’infanzia o quand’ero adolescente. Ho avuto una curiosa serie di prime letture, perché in casa di mia madre c’era una discreta biblioteca, non tanto ordinata ma sicuramente molto eterogenea. Tra questi trovai opere di Jorge Luis Borges, Juan José Arreola, Edgar Allan Poe, Angélica Gorodischer, Philip K. Dick, Julio Cortázar, Mario Levrero, Francisco Tario, e raccolte di racconti sia antichi che moderni (che contenevano testi di Guy de Maupassant, Antón Chéjov, Ernest Hemingway, Flanery O’Connor, Yukio Mishima, Marcel Schwob, Elena Garro e altri). Al contrario di come avviene qui in Messico per gli autori più giovani, al tempo gli scrittori statunitensi non erano tra i privilegiati, lo erano piuttosto i latinoamericani o gli europei. Il primo autore italiano per cui provai una forte passione fu Italo Calvino.

La tua opera è stata descritta come “letteratura dell’immaginazione”: ti trovi d’accordo con questa definizione? Altrimenti come definiresti le tue storie?

Ho proposto io stesso questa denominazione riferendomi ad alcune opere e ad alcuni autori messicani. Non ho però voluto intenderla come “genere” o categoria, ho preferito utilizzarla per descrivere una strategia narrativa per la quale provo particolare interesse: l’utilizzo dell’immaginazione fantastica. Niente di più. L’intenzione era trovare, utilizzando un altro nome, una possibilità di lettura differente per quella che in passato si sarebbe semplicemente chiamata “letteratura fantastica”. Ai giorni nostri quest’ultima definizione è decisamente più chiusa e delimitata di quanto non lo fosse nei secoli anteriori e credo che non sia più sufficiente per descrivere la grande varietà di ciò che si sta scrivendo nel panorama latino americano e in altri paesi.

Quando hai sviluppato seriamente l’idea di diventare uno scrittore? Sentivi l’esigenza di scrivere fin da piccolo oppure è un bisogno ed una passione che sono maturati con il passare degli anni?

Non iniziai proprio subito, però sì, molto presto. Mi avvicinai al mondo degli scrittori durante l’infanzia, con le letture a casa di mia mamma; da lì il mio interesse crebbe e vinsi il mio primo premio letterario in un concorso municipale organizzato dalla mia città natale, Toluca, quando avevo 16 anni. Però, la conferma di ciò che realmente volevo fare nella vita la ebbi nel corso degli studi, quando stavo intraprendendo una carriera “di convenienza”, non artistica, per esigenze familiari. Avrei potuto assicurarmi una vita relativamente semplice, da classe media, imboccando questa via, ma non riuscii a tollerare l’idea di lasciare la scrittura, e per fortuna non lo feci.

Com’è il tuo rapporto con il racconto, una forma narrativa che noi amiamo moltissimo ma che molto spesso, purtroppo, viene ingiustamente sottovalutata?

Il racconto è la forma letteraria alla quale sono più affezionato, perché molte di quelle prime letture erano racconti. Anche quando scrivo romanzi ne affronto la stesura affidandomi a molte delle prescrizioni del racconto; non dimentico che la novella italiana medievale era un’altra cosa, un genere giustamente breve, che poi venne trasformato per graduale accumulazione.

Il tuo libro “Nove” è stato pubblicato in Italia da Edizioni Arcoiris: come è avvenuto l’incontro con la casa editrice italiana?

Fui invitato da Loris Tassi, il direttore della collana “Gli eccentrici”, che aveva visionato una mia antologia uscita in Spagna. Naturalmente sono molto contento per questa opportunità: altri editori non sono interessati ad autori che a volte si qualificano come eccentrici, invece Arcoiris ha una raccolta intitolata proprio con questo nome!

Tra i racconti che compongono la tua raccolta “Nove”, ce n’è uno a cui sei legato in modo particolare? Se sì, quale e perché?

Il primo dell’indice, “È stata smarrita una bambina”. L’ho scritto in un momento difficile della mia vita, spinto da profonde sensazioni di dubbio e frustrazione, e mi ha dato tantissime soddisfazioni. E’ un racconto, inoltre, che si fa leggere molto bene a voce alta (almeno in spagnolo), e questa è una cosa che amo molto fare.

Leggendo “Nove”, il racconto che abbiamo trovato maggiormente fuori dagli schemi è stato “Corridoi”: come ti è venuto in mente di mischiare Leonardo di Caprio, Shining e Batman?

Come si intuisce, l’elemento comune di tutto ciò che emerge nel racconto è il cinema. Di Caprio appare trasformato nel suo personaggio di “Titanic”, però non solo, perché è al contempo quello che interpretò in “Inception” di Cristopher Nolan. Allo stesso regista appartiene anche la serie Batman, dal quale ho preso in prestito la versione del personaggio di Christian Bale. Nolan è il discepolo di Stanley Kubrick, eccetera. Tutto quello che c’è nel racconto proviene da qualche film, e infatti la gran parte di quello che dice la voce narrante è una parafrasi dei testi di Alain Robbe-Grillet, che l’attore italiano Giorgio Albertazzi pronuncia nel film L’année dernière à Marienbad” (“L’anno scorso a Marienbad”) di Alain Resnais. Il titolo del racconto si riferisce precisamente ai corridoi di cui parla sempre Albertazzi in quel film allucinante. L’universo a cui appartiene questo racconto è quello dei sogni del cinema, dove i personaggi si perdono e dai quali non possono più uscire.

Siamo curiosi di conoscere i tuoi gusti letterari: ci consiglieresti alcuni autori contemporanei che ti hanno particolarmente colpito?

Tra le mie più recenti letture c’è molto di saggistica e di storia, non so dirvi perché: negli ultimi mesi ho letto libri come “Vanished Kingdoms” di Norman Davies per esempio, o “Terror und Traum” (“L’ utopia e il terrore”) di Karl Schlögel; ho letto anche “Había mucha neblina o humo o no sé qué di Cristina Rivera Garza (un testo ibrido, sperimentale, sull’opera e sulla vita di Juan Rulfo) e adesso sto leggendo “The Invention of Nature” (“L’invenzione della natura”) di Andrea Wulf. Tutto questo lo alterno con opere di narrativa: per esempio, “Jerusalem” di Alan Moore, Under the Skin” (“Sotto la pelle”di Michel Faber, “Noctuary” di Thomas Ligotti. Proprio adesso sto revisionando un’antologia di Francisco Tario che sta per uscire e che spero riuscirà finalmente a togliergli l’etichetta di “autore marginale” che ha avuto per decenni in Messico: è un grande, grande narratore e ho in sospeso “Temporada de huracanes” di Fernanda Melchor (romanziera e cronista molto apprezzata qui).

Per finire puoi svelarci qualcosa dei tuoi progetti futuri e se riusciremo a leggere nuovamente una tua opera tradotta in italiano?

Ho da poco terminato un nuovo libro di racconti, che è in attesa dell’opinione editoriale, e presto uscirà in Messico un romanzo breve per bambini, intitolato “Cartas para Lluvia”Adesso sto lavorando ad un romanzo, e sì, certamente mi piacerebbe molto vedere qualche altro mio libro tradotto in italiano. Spero che “Nove” continui ad avere fortuna.

Grazie mille Alberto! È stato un grandissimo piacere averti ospite sul nostro blog.

Grazie a voi.

Un ringraziamento particolare a Giulia Binando per la traduzione dallo spagnolo.

 Mr. P.

I migliori dischi del 2016 – Seconda parte

Come promesso siamo arrivati alla parte alta della classifica. Dieci dischi che sono andati a braccetto con l’anno che è appena giunto al termine e che mi hanno regalato, ognuno in un modo diverso e particolare, grandi emozioni e sensazioni. Non resta che farveli scoprire!

10. DENTE – CANZONI PER META’

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Il 2016 ha visto anche il ritorno di uno dei miei cantautori preferiti, ossia Giuseppe Peveri in arte Dente. “Canzoni per metà” è un disco particolare, in cui Dente ha voluto suonare interamente tutte le parti strumentali e in cui ha deciso di abbandonare parzialmente e destrutturare la forma canzone tradizionale, fatta di strofa e ritornello, per confezionare 20 pezzi inconsueti e originali, alcuni privi di ritornelli, altri costituiti solamente da ritornelli. I testi, come sempre, pescano a piene mani nelle relazioni e nei rapporti interpersonali. Troviamo così pezzi assolutamente geniali come “Canzoncina” e “Curriculum” o canzoni impregnate della tipica malinconia e tenerezza a cui ci ha abituati Dente come “L’ultima preoccupazione” e “Noi e il mattino“. Un disco che oserei definire sperimentale e a cui occorre dedicare parecchi ascolti, per scovarne il cuore pulsante e non lasciarlo più.
Best track: Noi e il mattino

9. GIULIA’S MOTHER – TRUTH

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I Giulia’s Mother sono stati l’autentica rivelazione del mio 2016. Duo piemontese, armati di chitarra acustica e batteria, i due ragazzi sanno incantare e sorprendere, con melodie cristalline e intrise di malinconia. Tra le dieci tracce del disco troviamo l’emozionante cavalcata sonora “Say Nothing“, proseguendo con la struggente “Siù” e la spensierata “Green field“, per approdare all’oscura e toccanteOnly darkness and me“. Per non parlare del finale, che riserva bellissime sorprese con la strumentale e dagli echi islandesi dei Sigur Rós “Butterfly” e la chiusura “U“, in cui basta chiudere gli occhi per ritrovarsi seduti su di una spiaggia con il mare che lento lambisce i nostri piedi nudi. Un esordio folgorante che non può che far ben sperare per i lavori futuri della band.
Best track: Siù

8. TURIN BRAKES – LOST PROPERTY

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Torna a fare capolino anche il folk dei Turin Brakes, band pioniera del new acoustic movement, corrente musicale britannica dei primi anni 2000. Dopo il picco dei primi due dischi, la carriera del duo britannico è sempre proseguita con buoni risultati, tra dolci melodie e sferzanti chitarre. “Lost property” non smentisce il tipico sound della band, offrendo momenti tipicamente e squisitamente Turin Brakes come l’allegro singolo “Keep me around” o il pop malinconico della stupenda “Save you“. “Lost property” presenta però anche nuovi spunti sonori come il gospel dell’intima “Brighter than the dark” o la chiusura affidata al cupo tappeto sonoro di “Black rabbit“. I Turin Brakes continuano a proporci quello che sanno fare meglio e ogni volta è una delizia per le nostre orecchie.
Best track: Save you

7. ÓLAFUR ARNALDS – ISLAND SONGS

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Che anno sarebbe senza un disco di Ólafur Arnalds? Il musicista islandese questa volta ha deciso di registrare otto pezzi in sette settimane, ognuna trascorsa in una diversa location della natia Islanda, con ciascuno canzone registrata insieme ad un artista locale. Ciò che ne è venuto fuori è un disco di rara bellezza, colmo di melodie struggenti che cullano l’ascoltatore, trasportandolo tra fiordi ghiacciati e case di legno in cui arde un fuoco scoppiettante. “Árbakkinn” si apre con un componimento recitato dal poeta Einar Georg, tra tocchi di piano e archi tormentati, mentre in “Particles” spicca la voce angelica di Nanna Bryndís Hilmarsdóttir degli Of Monsters And Men. I cori femminili di “Raddir” inquietano e incantano allo stesso tempo e il piano di “Doria” ci accarezza in modo suadente. Un disco che è un vero e proprio viaggio, che saprà regalare grandi emozioni a chi si lascerà trasportare senza remore.
Best track: Doria

6. RICHARD ASHCROFT – THESE PEOPLE

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Dopo sei anni dalla delusione di “RPA & The United Nations of Sound“, torna sulla scena musicale Richard Ashcroft. L’ex leader dei The Verve riesce finalmente a sfornare un ottimo disco pop, degno del suo esordio solista. Le sonorità sono lontane anni luce dal sound sporco e psichedelico dei The Verve: a questo però ci si deve rassegnare. Ashcroft da solista ha sempre e solo scritto pezzi pop, ma quando lo ha fatto bene ha tirato fuori dei veri gioiellini. “These people” si apre con la danzereccia “Out of my body“, dal ritmo sincopato che non può far battere il piedino anche ai detrattori del cantautore britannico. Ma il punto forte di “These people ” è l’eterogeneità del sound: troviamo infatti il sapore country di “They don’t own me“, gli archi di “This is how it fells” e ancora la splendida ballataPicture of you” (che non avrebbe affatto sfigurato in un dico dei The Verve) o il pop cristallino della title track. Un disco variegato ed emozionante, che sicuramente ha fatto storcere il naso a chi rimane legato al passato di Ashcroft: io, pur continuando ad adorare i vecchi dischi dei The Verve, ho preferito voltare pagina e immergermi in questo ottimo “These people“.
Best track: Picture of you

5. SOPHIA – AS WE MAKE OUR WAY (UNKNOWN HARBOURS)

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Qui devo fare un enorme mea culpa per non aver mai tenuto in giusta considerazione i Sophia (che con i miei gusti musicali vanno a nozze), “scoprendoli” solamente nel 2016 con un mezzo capolavoro come “As we make our way (unknown harbours)“, disco di una delicatezza e una raffinatezza fuori dal comune. Basti pensare al singolone “Resisting“, uno dei migliori pezzi dell’anno, alla struggente “Don’t ask“, alla delizia acustica “The drifter“, dove basta chiudere gli occhi per ritrovarsi distesi su di un altopiano americano, o ancora all’inno “California“. Peccato per un paio di riempitivi che fanno calare la qualità globale del disco, che altrimenti sarebbe entrato senza dubbio in top 3. Una grande prova di classe per Robin Proper-Sheppard e la sua band, che hanno confezionato un album che ci accompagnerà ancora per molto.
Best track: Resisting

4. FEEDER – ALLA BRIGHT ELECTRIC

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Altra band che amo e che purtroppo in Italia non ha mai avuto il successo che merita, sono i gallesi Feeder. Autori di veri e propri capolavori, il trio ritorna con “All bright electric“, disco che sa miscelare i momenti più rock e duri che hanno caratterizzato la band fin dalle origini a episodi più malinconici e delicati, troppo spesso accantonati negli ultimi lavori del gruppo. Alla prima categoria appartengono sicuramente l’esplosiva “Holy water” e l’oscura “Geezer“, ma i pezzi da novanta del disco arrivano quando Grant Nicholas e compagni abbassano il tiro, come nella tormentata “Oh Mary“, nell’epicità di “Another day on earth” o nei cori malinconici di “Slint“. “All bright electric” è uno tra i migliori lavori della band degli ultimi anni, con sonorità e testi in puro Feeder style. Non brillerà certo per originalità, ma quello che abbiamo sempre chiesto ai Feeder sono melodie cristalline, chitarre graffianti e la bella voce di Grant Nicholas ad arricchire il tutto. E anche questa volta il trio ha fatto centro.
Best track: Another day on earth

3. THE VEILS – TOTAL DEPRAVITY

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Finn Andrews e soci si riaffacciano sulle scene musicali dopo tre anni e lo fanno in grande stile: “Total depravity” è infatti un album dal cuore oscuro e pulsante, che miscela melodia e sperimentazione, alternando classici pezzi alla The Veils con veri e propri azzardi sonori. Si capisce che i ragazzi non scherzano già dall’opener “Axolotl“, in cui la voce distorta di Andrews più che cantare, declama su di un tappeto sonoro impazzito o dall’elettronica e cupa “King of chrome“. Ma nel disco trova anche posto il rock desertico di “Low lays the devil“, la stupenda ballata acustica “Iodine & iron” o il pop sofisticato di “Swimming with the crocodiles“. Una prova di grande maturità, per una band che si è conquistata un posto di tutto rispetto nel panorama alternative mondiale e che spero verrà riconosciuta per il valore che realmente esprime.
Best track: Iodine & iron

2. RADIOHEAD – A MOON SHAPED POOL

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Il 2016 è stato sopratutto il ritorno dei Radiohead dopo, a mio avviso, il deludente “The king of limbs” uscito nel lontano 2011. In “A moon shaped pool” la band di Oxford mette parzialemnte da parte l’elettronica, di cui aveva abusato nelle ultime prove in studio, e ritorna ad una strumentazione più classica. Il nuovo corso sonoro intrapreso da Thom Yorke e soci si intuisce già dall’ottimo singolo “Burn the witch“, in cui tornano a predominare le chitarre, o dalla stupenda “Daydreaming“, in cui la voce angelica di Yorke si appoggia ad un delicato e onirico tappeto sonoro. Delizie per le nostre orecchie sono anche la tetra “Decks dark“, la pseudo latineggiante “Present tense” o la tanto attesa, e finalmente arrivata, struggente versione in studio di “True love waits“, un dei migliori pezzi dei Radiohead in assoluto. Attendere cinque questa volta ne è davvero valsa la pena.
Best track: Daydreaming

1. DAUGHTER – NOT TO DISAPPEAR

LDe_2015__178, 27/09/2015, 15:10, 8C, 6000x5980 (0+1377), 100%, Oct 5th -2013 , 1/8 s, R43.1, G22.1, B44.7

Dopo il capolavoro “If you leave“, i Daughter sfornano un secondo disco che eguaglia in bellezza, e raffinatezza lo stupendo esordio. Il suono della band si fa più corposo e pieno, abbandonando parzialmente le atmosfere acustiche e rarefatte a cui ci avevano abituato. Il sapore vagamente dream pop di “New ways” ci fa subito comprendere di essere di fronte ad un disco eccezionale. Ogni traccia è un piccolo capolavoro di intensità emotiva e ricercatezza: le chitarre ariose di “How“, la sperimentazione di “Alone/With you“, il canto disperato e libero di “To belong” o ancora i sei minuti di pura perfezione di “Fossa“, un’analisi cruda e lucida di una storia d’amore intrisa di dolore, con una struggente coda strumentale. Non ci sono dubbi che il mio disco dell’anno sia questo secondo album dei Daughter, con la speranza che la banda di Elena Tonra continui a strapparci il cuore ancora per molto, molto tempo.
Best track: Fossa

In ultimo vi segnalo ancora una manciata di dischi che non sono rientrati in classifica, essendo best of, ep o live:

  • Lanterns on the lake – Live in concert
  • Massive Attack – Ritual spirit ep
  • Massive Attack – The spoils ep
  • Moderat – Live
  • Nada Surf – Peaceful ghosts
  • Placebo – Life’s what you make it ep
  • Placebo – A place for us to dream

E il vostro 2016 musicale come è stato? Quali sono i dischi che vi hanno accompagnato durante i mesi appena trascorsi? Fatecelo sapere!

Mr. P.