Amy Fusselman – Il medico della nave / 8

Titolo: Il medico della nave / 8

Autore: Amy Fusselman

Editore: Edizioni Black Coffee

Anno: 2017

Pagine: 208

Prezzo: € 13,00

“Me ne stavo sdraiata lì, a percepire quelle mani su di me nonostante lo spazio che ci separava, e pensavo, Se non è lo spazio, allora cosa separa le persone? Conoscevo la risposta: quello che separa le persone non è lo spazio, ma il tempo.”

È innegabile: la non-fiction sta prendendo il sopravvento, ultimamente, anche e soprattutto nella forma del memoir. Abbiamo forse bisogno di qualcosa che vada al di là della finzione, di qualcosa che ci ricordi i nostri legami con la realtà di tutti i giorni, che ci faccia pensare “Tutto questo è accaduto davvero, perciò lo sento più vicino a me, più autentico?”. Qualunque sia il motivo, anche per Edizioni Black Coffee è giunto il momento di confrontarsi con un’opera del genere: “Il medico della nave / 8”, infatti, sono due lavori autobiografici della scrittrice newyorkese Amy Fusselman, riuniti nell’ultima uscita della casa editrice toscana, dalla copertina ancora una volta brillante e significativa.

Fin dalle prime frasi de “Il medico della nave”, Amy Fusselman mette in evidenza quelli che saranno due punti fermi di questo suo lavoro: la maternità («Io voglio restare incinta. O meglio, non voglio morire senza aver avuto figli.») e la morte, recente, del padre («Un tempo ero una bambina, avevo un padre. Ora mio padre è morto. E’ morto due settimane fa.»).  Due concetti completamente opposti si contrappongono per tutta la prima parte del libro: da un lato troviamo un desiderio fermo, costante, ricercato con fatica e speranza, talvolta con paura e frustrazione, una volontà che ha a che fare con la nascita, l’aprirsi alla vita, al cominciare a scrivere la propria storia, ogni giorno. Dall’altro, assistiamo, impotenti come la scrittrice stessa, allo spegnersi di un’esistenza, e a tutto ciò che questo comporta. La Fusselman alterna continuamente le sue sensazioni, i suoi timori ed il suo arduo percorso verso la maternità ai ricordi trascritti dal genitore in un diario tenuto quando era medico su una nave durante la Seconda Guerra Mondiale. In qualche modo, grazie a quelle pagine ormai passate, il padre della scrittrice riesce a rivivere, a dare un segno non solo al lettore, ma anche alla stessa figlia che ancora lo cerca, nonostante tutto.

In “8”, Amy Fusselman continua le sue riflessioni, ampliandole ulteriormente: di fondamentale importanza il concetto di tempo, che qui viene sviscerato in tutte le sue sfumature. Tempo, quindi, non solo come ciò che separa le persone le une dalle altre, ma anche come base per imparare qualsiasi cosa («Gli esseri umani imparano tramite ripetizione. Questo ci rende vincolati al tempo.»), come fiume in cui continuamente siamo immersi («Tu ci sei dentro a quel fiume, e la tua vita si svolge lì, giorno dopo giorno, azione dopo azione.») ma anche come mappa, che l’uomo cerca di utilizzare razionalmente per controllare ciò che, forse, ancora non conosce perfettamente. Ed è nel tempo stesso che si muove la penna della scrittrice, andando a ritroso, ricordando il suo amore per il pattinaggio, per le sue figure, le esperienze di terapia affrontate negli anni (da quella psicologica, tradizionale, a quelle più alternative). Il fil rouge che lega la maggior parte dei suoi ricordi, però, ha a che fare con un trauma vissuto quand’era bambina ed è proprio alla persona che ha dato vita a tutto ciò che la Fusselman si rivolge: il suo pedofilo. Se sono stata in grado sentire in modo vivido soltanto alcune parti di questo libro – forse a me i memoir non fanno l’effetto che ho ipotizzato all’inizio? Sono più attratta da ciò che non è completamente frutto dell’esperienza reale altrui? -, è con il ringraziamento dell’autrice all’uomo che ha influenzato irrimediabilmente la sua vita che ho avvertito le prime, vere, coltellate in pieno petto. «Ed è con gioia che ora dico: grazie, pedofilo. (…) grazie di aver fatto di me una scrittrice; (…) grazie di avermi spaventata a morte e avermi reso coraggiosa; grazie di avermi fatto credere di essere una supereroina che stava salvando la sua famiglia da morte certa».

Credo sia questo, forse, il messaggio più importante celato nelle pagine di entrambi i lavori: riuscire a scorgere un po’ di luce, là dove sembra esserci soltanto il buio più totale.  Ricordare per tenere ben presente, ben vivo il proprio percorso, ciò che si è superato e ciò che si è in grado di affrontare. Comprendere la paura del futuro, accettarla, farla propria ma poi metterla da parte: e non dimenticare mai, mai, che «La più grande menzogna del mondo è quella che ci fa credere che se una cosa è successa una volta, succederà di nuovo».

Voto: 3,5/5

Mrs. C.

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